Macbeth à la française

L'opera nella versione per Parigi apre il Festival Verdi. Su “Classic Voice” Tézier la svela

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il francese Ludovic Tézier, uno dei più acclamati baritoni sulla scena internazionale, sarà Macbeth l’11 e il 13 settembre al Teatro Regio di Parma per il Festival Verdi, con Roberto Abbado sul podio della Filarmonica Toscanini. L’opera di Verdi sarà eseguita nella versione del 1865, sulla base della revisione che la musicologa Candida Mantica ha fatto dell’edizione critica di David Lawton. Si tratta della seconda versione di Macbeth, differente da quella del 1847, non solo nella forma, ma anche negli equilibri psicologici dei personaggi.

Lei esegue per la prima volta questa versione di Macbeth: in cosa differisce dalla prima?

“La principale differenza è legata alla lingua. La prima versione è in italiano, questa è invece in francese. In questo senso, mi viene da fare un parallelismo col Don Carlo: in quel caso, la lingua italiana porta a una connotazione più romantica del Marchese di Posa, per esempio, mentre quella francese conduce a un personaggio più scuro e ‘politico’. Nel caso di Macbeth, l’intreccio rimane a grandi linee lo stesso, ma in questa seconda versione Verdi rende l’azione più urgente e rapida. Alcuni equilibri psicologici cambiano. Il compositore enfatizza il ruolo di Lady Macbeth nelle azioni del marito (mentre nella versione del 1847 il suo ruolo attivo si esauriva nel secondo atto). Al termine del terzo atto, ad esempio, la Lady incita Macbeth a nuovi delitti, mentre nella versione precedente l’idea di sterminare la famiglia MacDuff non prevedeva interventi da parte della donna. Per quanto riguarda il mio ruolo, sono interessanti le differenze nel finale: la seconda versione mette in scena in maniera più impietosa e asciutta la morte di Macbeth, mentre nella prima il tiranno morente prende coscienza degli orrori commessi (‘Tutto il sangue ch’io versai, grida in faccia dell’eterno’), cosa che ammorbidisce un po’ la sua fine. Credo che, una volta affrontato il Macbeth francese, ritornerò a quello italiano rendendolo più ricco e stratificato: è anche questo il vantaggio di studiare varie versioni”.

In questi ultimi mesi del 2020 c’è molto Verdi nel suo calendario: conte di Luna a Barcellona, Iago a Firenze, Amonasro a Parigi, Rodrigo a Zurigo. Com’è nato il suo amore per Verdi?

Forse prima che nascessi, dato che Verdi si ascoltava da sempre a casa mia! Sono marsigliese: l’imprinting mediterraneo, e quindi anche italiano, era presente nella mia famiglia. Verdi rinnovò questa cultura del mare nostrum, di origini latine, portandola a una sorta di ‘rinascita’. È un compositore che ha sempre fatto parte di me. Mi dicono che già a 4 o 5 anni canticchiavo arie verdiane, seppur ancora senza le parole”.

Com’è cambiato il modo di cantare Verdi? Nella seconda metà del Novecento la direzione è stata quella di un canto sempre più muscolare e talora un po’ dimostrativo. Oggi qualcuno inizia a recuperare lo stile di alcuni cantanti di inizio Novecento, meno inclini alla potenza e più attenti agli autentici colori verdiani.

“Lo spero! Recentemente ci sono stati progressi anche nell’arte della recitazione, che non va trascurata. Verdi era un artista molto attento al coté drammatico: bisogna dare vita al suo teatro, non basta cantare bene. Sono d’accordo sul fatto che Verdi non debba essere cantato sempre con voce stentorea: è più importante ‘recitarlo’. Ciò in Macbeth è determinante: Verdi chiede quasi una voce ‘brutta’ per Lady Macbeth. Ma penso anche, nell’Otello, a Iago, che fu in origine affidato proprio a un marsigliese, Victor Morel: un cantante non inappuntabile vocalmente, ma dalla teatralità eccezionale…”

 

Per leggere l’intervista completa di Luca Ciammarughi a Ludovic Tézier acquista “Classic Voice” di settembre in versione cartacea o digitale, in edicola o su www.classicvoice.com.riviste.html

 


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