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CLASSIC
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IL DIRETTORE
RISPONDE
Abbado (che ha comunque diretto
Ciaikovskij, Verdi e Bizet), com’è
possibile che, per partito preso, non
diriga Puccini? Perchè espressione
di musica borghese, conservatrice,
o quant’altro? Strano: un composi-
tore lo si analizza, e poi lo si giudica
nell’insieme; e le sorprese possono
anche venire fuori: vedasi gli ottimi
esiti di Karajan e Sinopoli (non due
qualunque), che hanno saputo “di-
sincrostare” Puccini dai singulti triti
e ritriti di certa tradizione vetusta,
ridonandoci un compositore “nuo-
vo”, se non autentico. Eppure, com-
plice anche il “terrorismo culturale”
dell’avanguardia anni 50 (splendida
definizione di Elvio Giudici), c’è an-
cora qualcuno che considera Puc-
cini “e i suoi simili” (Mortier) come
qualcosa da cui stare alla larga. Di
chi è la colpa, quindi? Del pubblico
poco colto che segue solo l’acuto di
Cavaradossi e poi dorme per il re-
sto dell’opera? O di chi è ben felice
di lasciare i “piccolo borghesi” nel
loro brodo di giuggiole puccinia-
no, limitandosi - da radicalchic - a
compatire? Non saprei. Di certo, un
grandissimo Maestro come Rubens
Tedeschi ha affermato, pochi anni
fa, di non apprezzare Puccini “per-
chè non sono mai riuscito a capire
cosa ci sia di interessante o moder-
no nella sua musica così celebrata”.
Questo è quanto.
Federico Ballarin
Caro Ballarin,
la sua diagnosi descrive perfetta-
mente la situazione di... trent’anni
fa! O, meglio, predominante fino agli
anni Settanta o giù di lì, almeno scor-
rendo la bibliografia operistica. Oggi
lamodernità di Puccini si scorge non
solo nella musica, ma anche nella
drammaturgia: quella Cio-Cio San in
attesa di un qualcuno che non arri-
va mai non è forse la protagonista di
una nostra Erwartung? La Butterfly
non è a tratti un visionario mono-
dramma? E infatti Giacomo corse
a sentire Pierrot Lunaire quando
Schönberg lo diresse in Italia. Certo,
Abbado farebbe bene a lasciarsi in-
curiosire. Ma che un direttore abbia
i suoi percorsi, le sue predilezioni, e
dunque anche le relative idiosincra-
sie, lo trovo normale. Altra cosa, più
censurabile, la cecità dello studioso
o dello spettatore, soprattutto se fuo-
ri tempo massimo... Il suo apprezza-
mento per l’articolo di Paolo Patrizi
mi dà l’occasione per rettificare un
refuso: non è La rondine a essere
del 1918, ma Il tabarro. Se il diavolo
delle redazioni non si fosse messo
in mezzo, a pagina 50 avresto letto:
“Il tabarro nasce nel 1918, a stagio-
ne verista conclusa...”. Così come,
nell’articolo di Mario Messinis dedi-
cato a John Cage, lo stesso spiritello
ha fatto comparire nella seconda co-
lonna di pagina 30 al posto di Euro-
peras, gli spezzoni melodrammatici
in cui il compositore americano in-
tese conciliare la multimedialità con
le esigenze di un teatro di tradizione,
il titolo raddoppiato di un’altra com-
posizione (Interscape Interscape).
Errata, corrige!
Quella Kozena
che non migliora
Gentile Direttore,
sono abbonato da un paio di anni,
poiché ho scoperto la passione
dell’ascolto della classica da relati-
vamente poco nonostante non sia
più giovanissimo. Raramente scri-
vo alle riviste, ma in questo caso lo
trovo quasi un obbligo. Dopo una
veloce ricerca, tutte le recensioni di
dischi in cui appare la Kozena sono
stroncature!  Giudizi negativi senza
appello. Mi è saltato all’occhio l’ul-
timo lavoro recensito (la Carmen)
che ho valutato più che valido, ma
che l’estensore dell’articolo ridico-
lizza quasi avesse un conto aperto
con la cantante. Scrive con tanta
aggressività che sembra precon-
cetta, maltrattando tutti gli altri in-
terpreti, rei di aver osato partecipare
(Kaufmann con chi è sposato?) ad
una registrazione insieme alla fami-
gerata moglie di Rattle. Non sono
un estimatore di Kozena, sia ben
inteso, ma così perdono di attendi-
bilità anche tutte le altre recensioni.
Nunzio Recano
Caro Recano,
a me pare proprio il contrario: se il
giudizio - sempre motivato e mai
gratuito - persiste al di là delle oc-
casioni e del repertorio, significa che
il critico mantiene una sua coeren-
za. Più censurabile sarebbe passare
dalla stroncatura senza appello alle
lodi. O no? Comunque le recensio-
ni non le ha guardate proprio tutte.
Se avesse sfogliato anche quelle
degli spettacoli si sarebbe accorto
che questa stessa produzione è sta-
ta raccontata “dal vivo” da un altro
collaboratore (“ClassicVoice” n. 156,
pagina 75), con giudizi tutt’altro che
drastici sulla Kozena. Non è prova di
pluralismo oltre che della nostra as-
soluta buona fede?
Puccini & refusi
Egregio Direttore,
Ho letto con piacere l’articolo di
Paolo Patrizi (uscito sul numero di
settembre della vostra rivista), inti-
tolato “falso pucciniano”. Un articolo
eccellente, a mio avviso, che riesce
a dare una certa luce su Puccini e i
suoi interpreti. È tutto vero: il pucci-
nismo, il buonismo, ecc..., sono tut-
ti elementi deleteri circa una valida
conoscenza del grande lucchese. Pa-
trizi si è giustamente dilungato nella
disamina dei vari direttori che hanno
interpretato Puccini: chi in un modo
(Karajan), chi in un altro (Toscanini).
Peccato, però, che per anni (ma an-
cora oggi lo strascico esiste), l’ap-
proccio a Puccini sia stato ambiguo
e tentennante. Il risultato? Due “fa-
zioni” opposte, entrambe deleterie.
Da una parte ci sono stati, e ci sono,
coloro (non tutti, per fortuna) che non
vanno al di là delle apparenze, e che
perciò vedono come “vertice” pucci-
niano l’attesissima romanza strap-
palacrime da seguire con trasporto, e
poi applaudire (o fischiare). Tosca, ad
esempio, è universalmente nota per
“E lucean le stelle” o “Vissi d’arte”
(due romanze bellissime, sia chiaro);
ma quanti sanno (o realizzano) che
nel secondo atto Puccini ha quasi
anticipato l’espressionismo? Non lo
dico solo io: si leggano i saggi di Mi-
chele Girardi. Turandot: “Vincerò!”
(che poi sarebbe “Nessun dorma”);
e poi? Quanti conoscono (o, se co-
noscono, apprezzano) l’Invocazione
alla Luna (atto 1°), vero capolavoro di
musica novecentesca? Seconda “fa-
zione”: gli antipucciniani, ovvero co-
loro che credono che il lucchese sia
un musicista prettamente“a effetto”,
dotato di buona (troppa?) vena me-
lodica, ma sostanzialmente piccolo
borghese (e quindi non “colto”). Già
in passato, Toscanini non espresse
grandi lodi per la musica del luc-
chese, ma quantomeno qualcosa
diresse (tra cui la celebre Bohème
incisa nel ‘46). Ma molti altri illustri?
Passi chi è versato nel genere sin-
fonico, senza grande esperienza nel
melodramma (ad esempio Furtwän-
gler), ma un grande direttore come
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