ClassicVoice 155 - page 4

CLASSIC
POST
IL DIRETTORE
RISPONDE
gio all’entrata del teatro. Almeno
avremmo saputo perché venivamo
privati di una parte dello spettaco-
lo. Infine, anche se non richiesto, un
consiglio ai professori: per il prossi-
mo sciopero, scegliete un’altra ope-
ra, in cui l’apporto dell’orchestra sia
primario. Con l’Anna Bolena e con
quel cast di cantanti, dopo la prima
impressione di sconcerto, quasi non
ci si è ricordati più che mancava
l’orchestra. Naturalmente sarebbe
sbagliato, ma se il pubblico e i teatri
si accorgono che l’opera si può fare
(con successo) anche così...
Mauro Balestrazzi
Caro Mauro,
certo, lo sciopero sarebbe stato più
efficace con Wagner: dove trovarlo
un pianista che suona tutte le note
del Ring? D’altra parte le acque -
temo - non si calmeranno. Finora
infatti abbiamo assistito a una par-
tita a scacchi tra la politica penaliz-
zante (e sfiancante) del Ministero e
masse artistiche arroccate nelle loro
posizioni, giuste o sbagliate che sia-
no. Le seconde erano comunque
intoccabili. Ma cosa succederà se
verrà approvata la modifica dell’ar-
ticolo 18, che prevede la legittimità
dei licenziamenti per motivi econo-
mici anche per le aziende con più di
15 dipendenti? I teatri italiani sono
fondazioni di diritto privato e di mo-
tivazioni di quel tipo per licenziare
ne avrebbero eccome, soprattutto
se il Ministero continua a tagliare
i fondi rendendo ardua qualunque
opera di risanamento...
Rami direttoriali I
Gentile direttore,
ho letto, con interesse, sul numero di
marzo, l’articolo di Mauro Balestraz-
zi sulle “stirpi” e scuole dei direttori
d’orchestra; e ho conservato l’inte-
ressantissimo albero genealogico.
Poiché, lodevolmente, vi è presente
anche la giovane generazione, mi è
parso di notare l’assenza di un nome
di rilievo: quello di Gustavo Duda-
mel (c’è Matheuz nel “ramo” austro-
tedesco, suppongo in quanto allievo
di Claudio Abbado). In effetti, collo-
care Dudamel in una scuola risulta
difficile, ma è indubbio che, fra i gio-
vani, si tratta d’una “presenza” im-
portante. La domanda, allora, è:dove
lo collochiamo. Su quale “ramo”?
La domanda è, a mio avviso interes-
sante, anche perché chi lo ha ascol-
tato in tempi recenti ha notato una
netta evoluzione dalla fase “spetta-
colare” più giovanile ad un modulo
interpretativo molto  “meditato” e
anche molto “classico” (i suoi re-
centi Brahms e Beethoven aveva-
no addirittura una severità quasi
“giuliniana”). Dove inserirlo, allora?
MarcoVizzardelli
CaroVizzardelli,
anch’io ho registrato la stessa evo-
luzione nel modo di dirigere di Du-
damel. Ma quanto è autentica? So-
spetto si tratti di un escamotage per
liberarsi del cliché del baby diretto-
re tutto istinto e talento: infatti non
sempre Gustavo regge quelle len-
tezze, perché sono estranee al suo
percorso formativo, venezuelano e
“abbadiano”. Per quanto riguarda
l’albero, sono contento che abbia
apprezzato l’idea: diventerà anche
un poster. Per sapere perché Duda-
mel non vi compare, la rimando alla
comunicazione successiva.
Rami direttoriali II
Il solito diavoletto che si annida
nelle tipografie e si diverte a far
guai stavolta è subdolamente pe-
netrato nel grafico dell’albero della
direzione d’orchestra (“Classic Voi-
ce” n. 154) e ha, con piccoli sposta-
menti, reso ambiguo il ramo tede-
sco. Chiariamo allora che Clemens
Krauss e George Szell “discendono”
da Richard Strauss e non da Hans
von Bülow; Claudio Abbado, Zu-
bin Mehta, Peter Schneider, Lothar
Zagrosek, Bruno Campanella e Ivan
Fischer sono stati tutti allievi di
Hans Swarowsky; l’assente Gusta-
vo Dudamel, come Diego Matheuz,
ha lavorato con Claudio Abbado.
Ancora: Walter Weller va legato a
Karl Böhm e non a Bruno Walter;
nel ramo francese Jean Fournet ha
il nome sbagliato.
Al belcanto non si
addice lo sciopero
Caro direttore,
domenica 18 marzo, a Firenze per
ascoltare l’Anna Bolena di Donizetti
con il duo Devia-Ganassi, la direzio-
ne di Roberto Abbado e la regia di
Graham Vick, ho trovato sulle porte
del Teatro Comunale un comunica-
to in cui si diceva che, per uno scio-
pero dell’orchestra, l’opera sarebbe
andata in scena con l’accompa-
gnamento del solo pianoforte. Puoi
immaginare la reazione del pubbli-
co, per buona parte proveniente da
fuori regione e quindi ignaro della
protesta. Il teatro lasciava la scel-
ta fra assistere allo spettacolo in
questa forma ridotta o richiedere il
rimborso del biglietto entro l’inter-
vallo. A giudicare dall’occhiata che
offrivano platea e gallerie, in pochi
hanno scelto di andarsene. Non è
la prima volta che un’opera viene
rappresentata con il solo pianoforte:
tutti ricordano la Traviata scaligera
con Muti alla tastiera. A Parma era
successo nel 1999 con La battaglia
di Legnano. Normale che, in questi
casi, la situazione d’emergenza pro-
duca nel pubblico una reazione fa-
vorevole a chi salva lo spettacolo. A
Firenze, complice la presenza di due
primedonne in straordinarie con-
dizioni di forma, è stato addirittura
un trionfo, di proporzioni tali che
non se ne ricordano molti prece-
denti. Fermo restando che il diritto
di sciopero è garantito dalla nostra
Costituzione e che sicuramente ci
saranno stati motivi seri alla base
dell’astensione, restano due curio-
sità: a) non pensano i musicisti del
Maggio che, in un momento di crisi
come questo, sarebbe il caso di ri-
correre ad altre forme di protesta,
piuttosto che a uno sciopero che
penalizza prima di tutti il pubblico
incolpevole?; b) una volta scelto di
scioperare, non sarebbe stato al-
meno il caso di metterci la faccia
e spiegarne il motivo agli spettato-
ri? Sarebbe bastato un volantinag-
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