INTERPRETI A. Esposito, A. Corbelli, F. Lucii, M. Ruta, L. Martelli, C. Dellaere, L. Liberali DIRETTORE Vincenzo Milletarì ORCHESTRA Donizetti Opera REGIA Francesco Micheli DVD Dynamic 37993
Il libretto di Jacopo Ferretti è dei migliori nel suo vetrioleggiare l’ottusa moralità dell’aristocrazia in epoca Restaurazione: ma passando da questa alla borghesia, non solo funziona ancora, ma si trova ancor meglio in quella attuale. Dal che, Micheli – di conserva ad Alberto Mattioli quale italico Dramaturg – comincia col quadro mimato, durante la frizzante Sinfonia, dei casi d’un giovane politico anni Venti, Giulio Arquati, la cui moglie lo pianta per un marcantonio palestrato lasciandogli anche i due figlioletti. “Gli anni si susseguono” direbbe la favola, e siamo nel 1942, mondo ipervirtuale dove tutti vivono poco nella realtà e moltissimo nel web attraverso il proprio avatar. Giulio, dati i casi suoi, è restato in politica ma diventando iperconservatore in fatto di sesso e diritti, e in pratica segrega i figli in casa: ma proprio questo ne accentua il loro vivere nel web dove sguazza un cliccatissimo influencer, Don Gregorio ovvero Greg, creatore del social @facegram dove tutto si commenta e si giudica, sorta di Tripadvisor gigantizzato dove regole di vita e di sopravvivenza sono i like. Ovvio che il maggiore, Enrico, conosca in chat Gilda, l’incontri, la metta incinta e la sposi segretamente; mentre il minore amoreggia con Leonarda, qui non serva di casa bensì rampante assistente smaniosa di fare le “scarpe virtuali” a Greg; ma ovvio altresì che pure Giulio – ormai viceministro – se ne serva quale comunicatore dei dogmi del proprio partito. Nel finale lieto – ma forse non poi tanto – Giulio, che da marito tradito poi padre ora si scopre nonno e perdona, Gilda entra in politica trionfando col suo rondò “Siamo serve ma regniamo, nate a governar” che, gorgheggiato nel ’22, adesso si scopre essere profetico nel suo non solo restare attuale, ma addirittura superare la realtà. Spettacolo che è tutto una girandola in puro stile Almodovar, coloratissima nei funambolici video di Studio Temp e nelle animazioni di Emanuele Kabu, sprizzante umorismo urticante negli ubiqui avatar vorticanti in modo sempre più sfrenato e dunque vagamente inquietanti: mica facile, filmarlo, ma Matteo Ricchetti ha realizzato un capolavoro di riprese e di montaggio.
La direzione di Vincenzo Milletarì è del pari magnifica: si segue, come di costume al festival bergamasco, l’edizione critica (di Maria Chiara Bertieri), che restituisce la versione originaria dell’Ajo, poi rimaneggiata da Donizetti al punto da configurare un’altra opera (è Don Gregorio, già vista a Bergamo), cosa che ha originato una deplorevole sequela di contaminazioni tra le due, sempre diverse tra loro. L’orchestra suona benissimo, accompagnando un cast perfetto in cui giovani usciti dalla Bottega Donizetti (molto brava la spigliatissima Giulia di Marilena Ruta; superate con felice baldanza le ardue richieste in acuto dall’Enrico di Francesco Lucii; bene la Leonarda di Caterina Dellaere: e che sollievo, sentire scandire il nostro idioma con proprietà anche di consonanti e non solo di vocali, nonché vedere facce italiane in luogo delle orientali onnipresenti…) fanno corona a quei due giganteschi cantanti-attori che sono Alessandro Corbelli e Alex Esposito. Calzante esempio di cosa sia e cosa significhi il possedere una perfetta tecnica di appoggio controllo e proiezione vocale, è il ricordare come Corbelli abbia inciso la parte di Giulio la bellezza di trentotto anni prima, e la ripeta adesso con solo infinitesime differenze per quanto concerne la tenuta del fiato, che adesso “ruba” un po’ di più: ma pienezza e morbidezza del suono, omogeneità tanto giù quanto su (ed è un su sollecitato spesso) sono identici, come identici e semmai accresciuti dall’esperienza sono fantasia d’accento e varietà nel gesto che ad esso sempre sa rapportarsi. Quanto ad Esposito, è il portento che sempre è stato fin dai suoi lontani esordi: animale da palcoscenico come ce ne sono pochissimi, di quelli che “emanano” sempre e comunque in virtù d’un carisma innato, anche lui facendo tutt’uno tra gesto e canto, quello irresistibile e scatenato, questo sempre rigoroso nella perfezione tecnica della linea che esalta la brunitura timbrica.
ELVIO GIUDICI