• Mondo Classico

    Il Risiko dei sovrintendenti

    Signori, in carrozza: si parte per un nuovo viaggio! È sempre così quando comincia un’altra avventura: i sogni e le speranze si accavallano inevitabilmente con i problemi e le preoccupazioni che ogni cambiamento comporta. Una realtà che in questo momento tocca in un modo o nell’altro nove fondazioni liriche su quattordici, che si preparano a ripartire nei primi mesi del 2025 con un governo in tutto o in parte trasformato. Non entrano in questa lista soltanto cinque fondazioni, delle quali due fresche di nomina: al Maggio Musicale Fiorentino è arrivato Carlo Fuortes nel marzo scorso, mentre al Massimo di Palermo è stato confermato Marco Betta solo pochi mesi fa. Scadenze lontane anche per il Regio di Torino (Mathieu Jouvin fino all’aprile 2027), per l’Arena di Verona (Cecilia Gasdia fino al febbraio 2028) e per il Verdi di Trieste (Giuliano Polo fino al novembre 2028). Scorrendo l’agenda del nuovo anno, si prende nota che tra marzo e aprile saranno in scadenza i sovrintendenti di cinque teatri ai quali vanno aggiunti i due (Fortunato Ortombina e Massimo Biscardi) che sono stati nominati rispettivamente alla Scala e all’Accademia di Santa Cecilia. Il mandato di Ortombina alla Fenice è scaduto a fine dicembre, quello di Biscardi a Bari sarebbe scaduto nel luglio 2025, per cui nel conteggio finale saranno sette le fondazioni che nel prossimo anno dovranno rinnovare i consigli d’indirizzo ai quali verrà affidato il compito di fornire al ministro una rosa di nomi tra cui nominare il nuovo sovrintendente. Situazione generale molto complessa, come si può intuire, perché la vita di un teatro dovrebbe avere sempre certezze e questi passaggi di consegne spesso non sono indolori. Lo si vede nel caso del Teatro alla Scala, che con Santa Cecilia gode di un’autonomia speciale ed è la più importante delle nostre fondazioni per motivi di bilancio e di visibilità internazionale. A Santa Cecilia il passaggio delle consegne dovrebbe avvenire senza problemi. Il mandato di Michele Dall’Ongaro, presidente e sovrintendente dal 2015 e poi confermato nel 2019, è in scadenza e Biscardi, votato al primo turno con oltre i due terzi dei voti necessari come previsto dallo statuto, si insedierà il mese prossimo. Biscardi non dovrà preoccuparsi del direttore musicale, visto che Daniel Harding è entrato in carica nell’ottobre scorso e sarà legato all’orchestra da un contratto di cinque anni, e nemmeno del cartellone della prossima stagione che è già stato predisposto da Dall’Ongaro e che sarà presentato in primavera. Più complesso, si diceva, il caso della Scala, dove Ortombina deve risolvere velocemente una serie di problemi legati a ruoli apicali nella vita del teatro. Il più urgente l’ha affrontato in queste settimane in cui si è diviso tra Venezia e Milano, in attesa di subentrare ufficialmente a Dominique Meyer dal 1° marzo, e riguarda la posizione di direttore dell’allestimento scenico, incarico fondamentale nell’organigramma: Franco Malgrande doveva andare in pensione, ma resterà fino all’estate del 2027, cercando in questi mesi di far crescere una figura che possa in futuro prendere il suo posto. Coperto anche il ruolo di coordinatore della direzione artistica, affidato a Paolo Gavazzeni che tornerà alla Scala dopo 14 anni, e dopo esperienze all’Arena di Verona e a Macerata. Quanto alla funzione di direttore del corpo di ballo, a cui si è pubblicamente autocandidato Roberto Bolle, ancora per un anno ci sarà Manuel Legris e il nuovo sovrintendente avrà così il tempo per un’esplorazione più meditata. Più delicato il caso del direttore musicale (...continua...). L'inchiesta di Mauro Balestrazzi continua nel numero 308 di "Classic Voice"

    I Personaggi del 2024 della musica

    Kirill Petrenko Una direzione che dialoga alla pari con quelle mitizzate di Karajan e Kleiber. Questo si leggeva nei giorni successivi al Rosenkavalier diretto da Kirill Petrenko alla Scala, la pietra miliare del 2024 musicale appena concluso secondo la maggioranza dei nostri collaboratori (e non solo), invitati a stilare una lista ideale dei personaggi dell’anno. Basta “solo” un’apparizione per conquistare la vetta? Sì, se - come nel caso di Petrenko - gli esiti musicali lo giustificano. La prima incursione operistica di Petrenko in Italia è qualcosa di destinato a rimanere nella storia del nostro paese e ovviamente della Scala. Omer Meir Wellber Direttore musicale fuori dagli schemi, un trascinatore che al Massimo di Palermo, grazie all’intuizione di Francesco Giambrone (ora all’Opera di Roma) ha fatto letteralmente di tutto, persino suonare negli ospedali, dando un plastico esempio di cosa dovrebbe (anche) essere questo incarico, ovvero indicare nuove vie, nuove musiche, nuovi registi, forgiare progetti alternativi a dispetto dei limiti e delle difficoltà. In una parola: mettersi in gioco, anziché chiudersi nella comfort-zone della routine. Emmanuel Tjeknavorian In carica da appena un anno alla Sinfonica di Milano e subito capace di dare la scossa con un approccio “militante” al ruolo. Tjeknavorian dirige, suona il violino (il suo strumento d’elezione, che ha in parte sacrificato per intraprendere la carriera direttoriale), si sfila dal podio per affrontare la musica da camera coi suoi colleghi: un ciclone sorridente che ha eliminato la parola routine. Ottavio Dantone Fantasia, pertinenza stilistica e un suono ormai immediatamente riconoscibile sono diventati i tratti distintivi di Accademia Bizantina, la cui attività strumentale va di pari passo con l’impegno nel rendere il teatro barocco presenza permanente nei teatri italiani. Merito del suo direttore dal 1996. Francesca Dego La violinista è stata tra le pochissime musiciste a fornire una solida proposta di ascolto di Ferruccio Busoni a cento anni dalla scomparsa. Al disco realizzato con la Bbc Symphony (in cui il Concerto di Busoni è affiancato al suo modello principale, il Concerto op. 77 di Brahms) ne è seguito un altro, altrettanto importante, con le due Sonate per violino, offrendo di Busoni un ritratto alternativo ma complementare a quello del virtuoso del pianoforte. Mathieu Jouvin Sul filo rosso delle proposte coraggiose e non scontate, tra i dieci personaggi dell’anno “Classic Voice” premia il sovrintendente del Teatro Regio di Torino Mathieu Jouvin: sua l’idea, inedita per non dire utopistica, di anticipare l’inizio della stagione d’opera con un trittico legato alla figura letteraria, cinematografica e operistica di Manon Lescaut, proponendo i tre titoli principali che l’Ottocento musicale ha realizzato su di lei. Centratissimo il concept, ma anche la scelta di affidare l’intero progetto alla mano di un unico regista, Arnaud Bernard. Alexandre Dratwicki Direttore artistico di Palazzetto Bru Zane, fondazione specializzata nello studio e nel recupero della musica francese del XIX secolo e del primo Novecento. In tre lustri le ambizioni del Palazzetto sono sempre cresciute, non limitandosi solo all’aspetto esecutivo (con coproduzioni internazionali che toccano le principali capitali europee), ma espandendosi anche a quello editoriale. Lungi dall’essere un’operazione museale, quest’avventura ha messo in evidenza la prassi produttiva dell’industria teatrale dell’Ottocento, svelandone aspetti ancora in buona parte inediti. Pierre Audi Alla guida del Festival di Aix-en-Provence, Pierre Audi ha condotto in porto l’impresa di eseguire in dittico, in un’unica serata, le due “Ifigenie” di Gluck, un abbinamento che ha permesso di cogliere le simmetrie e le corrispondenze tra i due titoli, affidati entrambi alla mano di Dmitri Tcherniakov e a un'unica protagonista, Corinne Winters, che di fatto ha cantato due opere di fila... Aldo Sisillo Per l’attività di OperaStreaming, il primo portale regionale italiano, sostenuto dall’Emilia-Romagna, che ogni anno propone otto produzioni nate in quella Silicon Valley dell’opera che è il macro distretto della via Emilia, da Piacenza a Rimini. Andrea Compagnucci Sostenere l’opera significa anche finanziarla. In questo senso, la figura del fundraiser è diventata decisiva quasi quanto quella del sovrintendente o del direttore artistico. Andrea Compagnucci, 44 anni, ha “festeggiato” i 20 milioni di euro di sponsor e donazioni raccolti in carriera per i teatri d’opera italiani (al netto di banche e fondazioni e sponsor istituzionali). Le motivazioni complete si leggono nel numero di "Classic Voice" in edicola o disponibile in formato digitale qui http://www.classicvoice.com/riviste/classic-voice-digital/classic-voice-307-digitale.html
  • Recensioni Opere Concerti e Balletti

    Verdi – La Forza del destino alla Scala

    L’ultimo 7 dicembre del sovrintendente e direttore artistico Dominque Meyer conferma le riserve dei precedenti quattro, tutti con Riccardo Chailly sul podio: quello proposto con l’allestimento della verdiana Forza del destino non è spettacolo adeguato alle ambizioni della Scala, al suo ruolo nella cultura dello spettacolo contemporaneo. La confezione è più televisiva che autenticamente teatrale: vista dal vivo e poi rivista in tv, questa Forza trova la sua giustificazione nella diretta su Rai1. Scene, costumi, movimenti sono materiali offerti, plasmati, dalle riprese - molto efficaci, con diverse prospettive “cinematografiche”- delle telecamere. Regia per immagini A occhio nudo si ha l’impressione di una regia, di Leo Muscato, condotta “per immagini”: quadri di una realtà storica che - come la pittura di un Goya o di Pelizza dal Volpedo - fissano nella memoria un’epoca. Quattro secoli (dal Settecento a oggi, ritmati sui 4 atti) dominati dalla violenza e dalle guerre che nel loro avvicendamento assecondano il tempo “lungo” scandito dalla drammaturgia (ogni atto si svolge anni dopo il precedente) e danno il senso di un pervasivo, ineluttabile, destino di violenza voluto dall’autore, grazie anche alla pedana rotante che ha favorito i cambi di scena, e agli ambienti rocciosi e opportunamente spogli e anonimi di Federica Parolini (il tempo storico era chiarito dai costumi di Silvia Aymonino). Ambienti da romanzo Verdi era molto interessato alle idee sul “romanzo storico” di Manzoni, e traduce questo interesse nella Forza e nelle sue scene collettive (un errore madornale tagliarle, come veniva fatto in passato anche in importanti palcoscenici). La bravura di Muscato sta soprattutto nel ricreare ambienti storici interessanti e melodrammaticamente credibili e nel muovere e gestire le masse, vivificandole con interventi e tocchi individuali pregnanti (poco visibili a teatro, ma ben rilevati dallo zoom delle telecamere: nel II atto, per esempio, il gioco di rimandi Leonora, Trabuco, Carlo). Che sia l’entusiastico assembramento di soldati e baionette nelle guerre d’indipendenza ottocentesche del II atto (che però prevederebbe “contadini e mulattieri” non militari) o la vita da ospedale di campo nella (Grande) Guerra di trincea, le immagini si fissano nella memoria. Con un notevole crescendo di impressione. Personaggi sacrificati Ma quando l’eremita Anna Netrebko nel quarto atto intona “Pace Mio Dio” con la mano alzata sopra le rovine di quella che potrebbe essere Gaza, Beirut o Kiev (anche qui una suggestione pittorica: Il mare di ghiaccio di Caspar Friedrich) resta il dubbio che quello, con un po’ di coraggio, sarebbe potuto essere “lo” spettacolo da nuova Scala: la guerra non solo come rievocazione pittorica ma dramma della contemporaneità. Magari collegato alla vicenda dei personaggi: il punto debole della regia resta infatti il lavoro sui cantanti nelle arie, nei duetti, nel terzetto. Si tratta quasi sempre di momenti di grande, grandissimo, impegno vocale: ma Alvaro - un mulatto ingiustamente discriminato (“Indo maledetto”), di famiglia nobile trucidata, ma disposto al perdono - o Leonora - una donna ossessionata dalla famiglia patriarcale e dal senso di colpa - sono figure psicologicamente interessanti. Come nei Promessi Sposi, il romanzo popolare che spartisce molto con questo atipico melodramma verdiano, i singoli sono pedine di una grande storia, ma possiedono lo status di tipi umani universali, di indiscutibile spessore narrativo (a partire da Padre Guardiano/Fra’ Cristoforo e di Fra’ Melitone/Don Abbondio), e sono comunque individualità complesse e tormentate: la regia di Muscato li tratta invece come figurine dai gesti prevedibili o icone statiche sempre al proscenio. Cantanti che cantano. L'orchestra che respira Lo spettacolo, a pannelli separati dai secoli ma rotante e ossessivamente buio nelle scene e nelle ambientazioni, è a specchio con la direzione da Riccardo Chailly, che lo motiva dal podio con una prestazione di orchestra e coro da collocare negli annali di quella Scala che battezzò la seconda e definitiva versione dell’opera (dopo la prima pietroburghese) ma che nel secondo Novecento l’ha riproposta poco. Della partitura che vive di accumuli e accostamenti/contrasti volutamente stridenti Chailly ricerca l’incoerenza, l’accostamento frontale di mondi sonori diversi, con stacchi di tempo e intenzioni talvolta “stringenti”, altre volte più prudenti e solenni (anche nello stesso brano: si veda il finale Atto II “Maledizione” solenne e incalzante), e con una notevole vocazione a scolpire l’accento strumentale - quanti assoli splendidamente modulati, a partire da quello ariosissimo e weberiano che introduce l’aria di Alvaro del III atto -, e rare sbavature d’insieme: il canto innerva l’orchestra e si riverbera sulle voci, non il contrario. Meraviglia Rataplan Proprio i momenti comico-umoristici e d’ambiente, censurati dalla critica verdiana ma che l’autore riteneva cruciali per la pittura storica al punto da potenziarli ed esporli nella riscrittura scaligera dell’opera, ricevono un’attenzione e un impegno direttoriale speciali: il bistrattato “Rataplan”, con modulazioni dinamiche estreme e una leggerezza e ariosità rossininiane, diventa un pezzo di musica assoluta, vertiginosa, modernissima nel insensato gioco sillabico, risolto con bravura e precisione estreme dal coro della Scala. L’orchestra d’altra parte è la protagonista dell’opera per la trama quasi leitmotivica che ne innerva la scrittura, coi ritorni tematici pervasivi (un unicum per il Verdi di quegli anni), che il direttore ritrova tutte le volte con un passo appassionato e una “presa” emotiva, a riprendere tutte le volte il filo narrativo e a ricomporre le discontinuità di tono e “genere”, raramente concessa dall’“oggettivo” Chailly. Grandi voci o voci grandi Alla densità sinfonica dell’orchestra corrisponde un parco voci importanti: la svettante Anna Netrebko non è sempre intonata nei suoni centrali (in cui abbonda il “petto”), ma è una grande fraseggiatrice in grado di scolpire le parole e chiaroscurare le palpitazioni di Leonora. Ludovic Tezier (Carlo) e Brian Jagde (Alvaro)  sono più stentorei e dimostrativi, ma più irreprensibili vocalmente, con suoni perfettamente “coperti” e - il primo - con una notevole eleganza di emissione. La Preziosilla di Vasilisa Berzhanskaya canta bene, sfodera acuti penetranti ma spiana le parole in “Al suon del tamburo”; il Padre Guardiano di Alexander Vinogradov è nobile, il Fra Melitone di Marco Filippo Romano misurato e più accorato che irresistibilmente comico. Il Marchese di Caltrava di Fabrizio Beggi, corretto, ha l’espressione stralunata di un disegno di Goya. Alle origini il mulattiere Trabuco del II atto non coincideva col rivendugliolo “ebreo” del IV, che per prassi vengono cantanti dallo stesso tenore, qui Carlo Bosi, con timbro nasale accentuato, come da diffuso stereotipo antisemita d’epoca. Andrea Estero   Su "Classic Voice" di carta o nella copia digitale c'è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html  

    Orontea veste Prada

      All’inizio del Primo Atto Orontea dichiara che “Superbo Amore… Regnar non speri” nel suo

    Migra la RONDINE

    Caso ha voluto che poche settimane prima del ritorno della Rondine alla Scala la stessa interprete
  • 308 Gennaio 2025
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    Frédéric Lodéon “Le Flamboyant”

      In Francia Frédéric Lodéon è conosciuto come volto televisivo, il cui senso dell’umorismo ha aiutato la diffusione della musica classica a un ampio pubblico. Ma l’ex allievo di Rostropovic è prima di tutto un immenso violoncellista, dotato di un temperamento impetuoso. La sua eredità discografica per Erato ed Emi viene raccolta per la prima volta in un cofanetto che include numerosi inediti.         Su “Classic Voice” di carta o nella copia digitale c’è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html      
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    Per non fare la solita, ennesima, antologia di pezzetti, Leonardo García Alarcón, artista instancabilmente prolifico, mette insieme fonti disparate di monodia e polifonia del Sud Italia organizzandole in una narrazione dal titolo Amore siciliano con tanto di atti (due), scene e trama (l’amore contrastato tra Cecilia e Giuseppe). Lo spunto teatrale però su disco resta senza teatro e l’antologia torna a mostrarsi per quel che è, il che non sarebbe disdicevole, data la presenza di autori insigni (compresi tra Sigismondo d’India e Alessandro Scarlatti) e da diversi altri carneadi (come Tommaso Carapella, Pascuale [sic] Carrozza, Corrado Bonfiglio ecc.) a vario titolo attivi nel lungo Barocco meridionale italiano. Esecuzione corretta tanto nella prosodia, che non fa troppo sentire la mancanza di cantanti con accento dialettale doc, quanto nella concertazione. Tuttavia alla flebile drammaturgia avremmo preferito uno scavo più approfondito sui singoli stili o su eventuali relazioni tra le fonti scelte e il repertorio etnofonico. Carlo Fiore
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