• Mondo Classico

    La Destra s’è desta

    C’è qualcosa di morboso nella infaticabile azione di questo governo, e della maggioranza di destra che lo sostiene, per mettere le mani sulle istituzioni culturali di questo paese, qualcosa che va al di là della fisiologica fame di chi si ritrova a gestire le leve del potere per la prima volta. Probabilmente questa cupidigia nasce da un complesso d’inferiorità verso la parte avversa, da sempre accusata di esercitare una egemonia che peraltro sarebbe difficile negare: del resto, che il mondo della cultura guardi più a sinistra e che la destra fatichi a trovare punti di riferimento non è una scoperta di oggi. Quando Berlusconi andò al governo, ormai trent’anni fa, provò a fare una bandiera di Franco Zeffirelli, regista popolarissimo e visceralmente anticomunista, il quale all’inizio si prestò al disegno, lusingato dall’idea di poter intraprendere una carriera politica da aggiungere ai successi teatrali e cinematografici. Eletto al Senato, Zeffirelli si attivò immediatamente con diverse iniziative: chiese il ripristino del Teatro antico di Catania, propose un disegno di legge per la creazione di un centro internazionale delle arti e dello spettacolo con sede a Firenze, avanzò interrogazioni per la protezione dei cani randagi di Napoli e dei gatti randagi di Palermo… In un governo come quello, preoccupato di emanare leggi ad personam per tutelare gli interessi del titolare, il regista dovette sembrare una specie di extraterrestre. E infatti, dopo essersi fatto eleggere per la seconda volta portando in dote un seggio alla coalizione, si fece da parte, con reciproca soddisfazione, sua e di Forza Italia, il partito che lo aveva candidato. Se oggi si dovesse individuare un campione di questo centrodestra (molto destra e poco centro), messo fuori gioco il peraltro difficilmente classificabile Vittorio Sgarbi, il personaggio di cui più si parla sui giornali e sui social è una direttrice d’orchestra che in spregio alla grammatica vuole farsi chiamare direttore. Difficile ignorare il nome di Beatrice Venezi anche per chi non ha pratica di cose musicali, visto con quanta frequenza ricorre nelle cronache, non soltanto in quelle artistiche, anzi meno in quelle che in altre. Nel 2017 il “Corriere della sera” l’aveva indicata fra le 50 donne dell’anno, segnalandola come promessa femminile della direzione d’orchestra; qualche settimana fa il quotidiano milanese le ha dedicato un’intera pagina con toni meno condiscendenti e rifiutando di sottoporle preventivamente il testo dell’articolo per avere la sua approvazione, come lei avrebbe voluto. “Se invece di collaborare come tecnico con il ministro Sangiuliano lo avessi fatto con l’ex ministro Franceschini, nessuno mi avrebbe urlato ‘comunista’”, ha detto in un’intervista la direttrice. Probabile. Ma che la Venezi sia figlia di un ex esponente dell’organizzazione neofascista Forza Nuova e che sia amica di Giorgia Meloni, qui interessa poco. Interessa che la collaboratrice del ministro della Cultura avrebbe manifestato di puntare a poltrone come quella di sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, “espressione della vecchia governance” (parole sue riportate da una testata siciliana), descrivendosi come “un fantasma che aleggia” e che è in attesa delle “decisioni della politica”. A parte il fatto che Marco Betta, in scadenza fra pochi mesi, sta lavorando molto bene e non si vede perché non debba essere confermato, con quali titoli la Venezi possa rivendicare questa o altre posizioni apicali è difficile capire dal suo modestissimo curriculum. Quanto al di lei valore come direttrice d’orchestra, sono abbastanza significative due recensioni relative a recenti esibizioni, che fanno riferimento soltanto all’efficacia della sua condotta sul podio e non alle convinzioni politiche o agli abiti che indossa. Ha scritto Angelo Foletto su “Repubblica”: “Ciò che sollecita gli occhi incide poco su suono e varietà di intenzioni: dei compiaciuti risalti mimico-direttoriali l’articolazione musicale raramente si avvede… Pare che i tracciati della bacchetta seguano accenti e colori. Non li precedano, orientandoli. Del resto fare il direttore affidandosi all’orchestra, è meno rischioso che impegnarsi a esserlo”. Ancora più caustica Roberta Pedrotti su “L’Ape musicale”: “Fra un mulinare simultaneo di polsi e avambracci e l’aprirsi alare e coreografico, in realtà, più che riconoscere la tecnica e l’autorevolezza della concertatrice, ci si riconosce nel gesto istintivo del musicofilo che, rilassato nell’ascolto domestico di una registrazione, accompagna la musica con le mani”.  Confrontando il video che apre l’homepage del sito online della direttrice (beatricevenezi.com) con la caricatura televisiva che ne ha ricavato Virginia Raffaele (quella che ha fatto tanto infuriare il ministro Sangiuliano, ma sospettiamo più per lo sfottò diretto a lui che per solidarietà verso la consigliera) si può constatare che l’imitazione sembra perfino moderata rispetto al modello originale. È possibile però che la Venezi (che adesso ricopre due posizioni sulla carta inconciliabili: da una parte consulente per la musica del ministro che attribuisce le risorse, dall’altra artista che accetta ingaggi e cachet dalle istituzioni) riesca alla fine nel suo intento e possa sistemarsi su una poltrona di sua piena soddisfazione (...) L'inchiesta di Mauro Balestrazzi continua sul numero 299 di "Classic Voice": www.classicvoice.com/riviste/classic-voice-digital/classic-voice-299-digitale.html

    Due Currentzis e due misure

    Un caso di diplomazia musicale ha scosso il Wiener Festwochen, uno dei festival più seguiti della capitale austriaca, riflettendosi anche sul dibattito musicale italiano. La kermesse diretta da Milo Rau aveva accostato la presenza in cartellone di due Requiem dall’alto valore simbolico, il War Requiem di Britten e il Kaddish Requiem dell’ucraino Stankovych, suggerendo un parallelo implicito tra i due direttori, da un lato il greco-russo Teodor Currentzis e dall’altro l’ucraina Oksana Lyniv. Non è la prima volta che un artista russo si trova a condividere il cartellone con un collega ucraino, ma in questo caso i nomi dei due protagonisti non sono passati inosservati. Currentzis è il fondatore di orchestra e coro MusicAeterna, una compagine - com’è risaputo - sovvenzionata da istituti bancari vicini al Cremlino; Oksana Lyniv, d’altra parte, è la musicista ucraina più riconosciuta al mondo, fondatrice della Youth Ukrainian Symphony Orchestra e attivissima nel sensibilizzare il pubblico sulla tragedia che sta vivendo il suo paese. “Non ho nulla di personale contro Currentzis, ma accostare i nostri due progetti non è un’opzione - ha spiegato la direttrice - Non saprei cosa dire agli oltre cento musicisti che arriveranno a Vienna dall’Ucraina martoriata dalla guerra”. Il Festival viennese si è scusato con lei e ha cancellato l’appuntamento di Currentzis previsto il 12 giugno con la Swr Symphonieorchester. Il fatto ha riacceso il dibattito sulla responsabilità e sui limiti dell’arte, visto che sia Lyniv sia Currentzis - almeno in quest’occasione - sono stati descritti dal Festival viennese come rappresentanti dei rispettivi paesi. La direttrice artistica della Swr, Anke Mai, ha spiegato chiaramente che “i membri dell’Orchestra Sinfonica di Kiev avrebbero voluto che Teodor Currentzis rilasciasse una dichiarazione pubblica contro la guerra d’aggressione russa, ma non glielo abbiamo mai chiesto a causa delle conseguenze che una simile dichiarazione avrebbe avuto per Currentzis in Russia”. Lo stesso Currentzis, che tra il 5 e l’8 marzo ha portato MusicAeterna in un mini tour tra San Pietroburgo e Mosca, il 16 e 18 marzo sbarca a Torino e Bologna per le stagioni di Lingotto Musica e Bologna Festival (in Piemonte il Concerto n. 24 e il Requiem di Mozart, in Emilia il Requiem di Mozart incastonato in una serie di brani dal medioevo fino alla contemporaneità). In questo caso, però, il dibattito non si è sollevato, pur essendo presente - a differenza che a novembre scorso, quando Currentzis arrivò in Italia con la sua nuova orchestra “occidentale” Utopia, proprio la russofona MusicaAeterna. Un episodio simile ha avuto per protagonista Ildar Abdrazakov, il basso russo che a Ravenna, nel dicembre 2023, si è regolarmente esibito con Riccardo Muti e che un mese dopo ha cancellato “per ragioni personali” la sua partecipazione al Requiem di Verdi con Antonio Pappano e l’Orchestra di Santa Cecilia. Né Currentzis né Abdrazakov hanno mai rilasciato dichiarazioni contro la guerra e continuano a lavorare regolarmente in Russia, venendo di volta in volta ritenuti “accettabili” o meno dalle istituzioni europee, senza un metro di giudizio uniforme. A questa dogana morale non è sfuggita nemmeno Anna Netrebko, che è stata confermata anche nel 2024 all’Arena di Verona (dove canterà Tosca), ma continua a essere respinta da altre istituzioni, Metropolitan in testa. Su "Classic Voice" di carta o nella copia digitale c'è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html
  • Recensioni Opere Concerti e Balletti

    Arrivederci Tell

    Prima considerazione: Guillaume Tell, nella versione originale francese (qui per la prima volta alla Scala), è uno dei titoli più difficili dell’intero repertorio operistico. Qualunque regista, prima di affrontarlo, si farebbe il segno della croce. La presenza di scene corali, di danze e del balletto inserito come prassi all’interno del grand opéra (che non sono ornamento, ma sostanza storico-politica del dramma di Schiller), e il loro intersecarsi con la drammaturgia dei personaggi, che di quella sostanza si nutrono, infine il pericolo dell’oleografia e del bozzetto svizzero, rendono la sua rappresentazione un’impresa che richiede un dominio assoluto dei mezzi. Seconda considerazione: la programmazione dei teatri d’opera è talvolta frutto di compromessi, equilibri, scambi. Non c’è da scandalizzarsi se la direzione di un teatro offre un titolo del cartellone alla figlia regista di un famoso direttore d’orchestra, che lo stesso teatro vorrebbe tornasse in buca, magari per un’opera e non solo per un’ospitalità (cosa peraltro avvenuta nel recente passato e fino un paio di mesi fa, alla testa di un’importante orchestra americana). Terza: ci sono diversi modi per far sì che la prima e la seconda condizione non entrino in conflitto. Basterebbe non affidare la “prima volta” scaligera di questa complicata macchina teatrale rossiniana alla professionista di cui sopra; destinandole magari una prova meno cruciale, meno esposta, per esempio il titolo annuale dell’Accademia scaligera, o un melodramma meno stratificato e difficile da maneggiare. E invece no: la Scala ha deciso di dare a Chiara Muti proprio il primo Guillaume Tell della sua storia, chiedendole di scalare una parete di sesto grado. E di fatto consegnandola ai fragorosi “buu” indirizzatile diffusamente alla fine della “première” (oltre che alla prime repliche).  Da attribuire a pari merito all’imprudenza di chi affida e di chi accetta l’incarico. Intendiamoci: lo spettacolo di Muti non è tutto sbagliato e le contestazioni sono state eccessive se riferite alla messa in scena in quanto tale. La regista ha tecnica e sa muovere un palcoscenico gremito di masse, con l’aiuto determinante delle coreografie di Silvia Giordano (ben gestito il divertissement che ha illuminato le olimpiche, impassibili, danze rossiniane di spietata crudeltà: d’altra parte il libretto allude esplicitamente alla violenza degli austriaci sugli svizzeri, e dunque il sabba sadomaso con cui è stato risolto, e innestato nella drammaturgia, l’inserto danzato di prammatica non è affatto improprio). Anche le idee non le mancano: in una Svizzera ai tempi di Blade runner (nelle scene buie di Alessandro Camera svettano palazzi di dieci piani) il dominio straniero è soprattutto tecnologico, da inebetimento informatico - anche se gli IPad con cui i montanari sono stati abituati a interagire poi si perdono per strada. E nel sublime finale la vittoria di Tell coincide con l’irrompere della natura (cascate e foreste proiettate sullo schermo) e con la liberazione dalla condizione di schiavi digitali: i patrioti, come rinati, dismettono la loro anonima tuta da “operai” dei social network, senza stipendio come sono gli odierni leoni della tastiera. Tra tecniche e “concetti”, quello che manca è però il livello intermedio: il modo di dar corpo e credibilità a personaggi così radicalmente ricreati. Il tonfo “estetico” arriva nel terzo atto, quando Gessler (Luca Tittoto) diventa un “cattivo” da fumetto, un Dart Fener in rosso un po’ drag (macchiettistici i costumi di Ursula Patzak), contornato da una sorta di compagnia di strampalate dominatrici. Non c’è traccia di ironia in Rossini e Schiller: qui invece la comicità involontaria gronda copiosa. Peccato perché l’esecuzione musicale era di alto livello: e se il coro preparato da Malazzi fa meglio dell’orchestra, Michele Mariotti ha trovato la quadratura del cerchio rispetto ai Tell diretti a Pesaro e a Bologna. Quelli erano ancora belcantistici, concepiti come la somma di “numeri d’opera”; questo è più drammatizzato, più “stretto”, anche se sempre scavato e parlante negli accompagnamenti e nei momenti di protagonismo orchestrale. Nel cast spicca la vocalità squillante, centratissima, di Dmitry Korchak (Arnold) e l’intensità espressiva di Michele Pertusi. Più povera di accenti e vibrazioni la pur corretta Mathilde di Salome Jicia. Andrea Estero   Su "Classic Voice" di carta o nella copia digitale c'è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html  

    DIO è un grand opéra

    La Juive di Halévy ha inaugurato la stagione del Regio con un allestimento sontuoso di Stefano Poda

    Verunelli Songs & Voices

    Reduce da un grande successo con un pezzo per orchestra al Festival di Donaueschingen, Francesca
  • 299 Aprile 2024
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    Teatro Verdi Pordenone – Musica Danza 2023/24

    Assistere ad uno spettacolo dal vivo è, oggi più che mai, un’esperienza speciale e non più così scontata. Essere a teatro “in presenza” ha per tutti noi un senso sempre nuovo, sempre più pieno e gratificante. Il programma di musica e danza 2023/24 vuole offrire un’esperienza dal vivo che sia ogni volta motivo di scoperta, di sorpresa e di arricchimento, per tutto il pubblico. La “cultura” non è solo qualcosa che si fruisce quando si ascolta un concerto o si legge un libro, ma è ciò che rimane in noi dopo quel momento iniziale. Ho concepito questo programma di eventi proprio pensando a cosa rimarrà in noi ascoltatori dopo essere usciti dal teatro. Per questo motivo, oltre all’altissima qualità delle orchestre, delle compagnie di danza e dei solisti invitati, ho pensato a come ogni concerto possa arrivare al cuore del pubblico, anche di coloro che non sono esperti o appassionati di quel genere di musica. Come risulta evidente scorrendo il programma, la proposta di eventi è particolarmente varia, e alterna repertori, stili, format e organici diversi e complementari. Con due comuni denominatori: l’eccellenza artistica, da un lato, e la fruibilità, dall’altro. Si spazierà dal Barocco italiano (con uno dei più grandi tenori dei nostri tempi, Ian Bostridge, per la prima volta a Pordenone), ai capolavori del repertorio sinfonico e corale che mancano da tempo a Pordenone, come la Messa in Si minore di Bach, affidata alla Barockorchester und Kammerchor Stuttgart di Frieder Bernius, il Concerto per pianoforte e orchestra di Schumann e la Sesta Sinfonia di Dvorak con la Chamber Orchestra of Europe diretta da Antonio Pappano (e con Beatrice Rana al pianoforte), fino alle rarità di Hindemith, Eisler e Weill con la Budapest Festival Orchestra e Iván Fischer e alla monumentale Quinta di Bruckner, con la Gustav Mahler Jugendorchester diretta da Kirill Petrenko. Molti saranno i brani eseguiti per la prima volta a Pordenone, tra cui anche la grande Alpensinfonie di Strauss, affidata all’Armenian Philharmonic Orchestra diretta da Eduard Topchjan l’11 dicembre, giornata internazionale della montagna. L’attenzione a repertori “diversi” accomuna molti dei concerti proposti, tra cui quello del grande violinista Roby Lakatos. E, parlando di commistioni di stili e generi, sarà Elio a sorprenderci, nel suo recital in cui canterà e racconterà il repertorio vocale, da Rossini a Weill/Brecht, in un percorso del tutto insolito, arrivando anche alla musica contemporanea e a quella tradizionale giapponese. Anche la proposta per la danza segue i medesimi principi, puntando su una assoluta eccellenza e peculiarità delle proposte (Carolyn Carlson Dance Company, Herve Koubi e un trittico della Fondazione Nazionale Della Danza / Aterballetto con coreografie delle Star israeliane della danza Eyal Dadon e Ohad Naharin, assieme ad una nuova creazione della coreografa spagnola Iratxe Ansa). Mi auguro che il Teatro possa essere sempre più uno strumento che dia un senso più profondo alle nostre vite: una cassa di risonanza delle nostre visioni, speranze, paure, sogni. teatroverdipordenone.it

    Deutsche Grammophon STAGE+

    La storica etichetta gialla presenta STAGE+, un innovativo servizio di abbonamento alla musica classica che offre spettacoli dal vivo, un enorme archivio video e nuove uscite audio, tutto su un'unica piattaforma. Grazie alla collaborazione con molti fra i principali enti lirici, orchestre, sale da concerto e festival internazionali, STAGE+ presenta ogni settimana spettacoli inediti, eventi in live streaming da tutto il mondo, straordinari concerti e opere liriche, nonché nuove uscite audio Deutsche Grammophon e Decca oltre al meglio del loro d’archivio. STAGE+ è disponibile come applicazione TV, mobile e web con molti video in risoluzione 4K e audio in Dolby Atmos. I contenuti audio sono in formato Hi-Res Lossless, praticamente identici alle registrazioni originali in studio. STAGE+ rappresenta una svolta nella fruizione audiovisiva della musica classica online; consente di effettuare ricerche per titolo e di accedere a singole opere, movimenti o scene, con accesso a tutti i contenuti audio e video disponibili per un particolare artista, compositore, opera, luogo o organizzazione partner; si può anche salvare i preferiti e scaricare alcuni dei contenuti per la visione o l'ascolto offline. Scopri i contenuti di Stage+ e le anteprime esclusive su https://www.stage-plus.com/ OTTIENI subito il 10% di sconto sull'abbonamento annuale a Stage+ Iscriviti usando il codice promozionale RISERVATO AGLI ABBONATI DI CLASSIC VOICE  
  • Eventi
    Mozart l'Italiano

    Genova, Opera Carlo Felice

      Il febbraio del Carlo Felice di Genova è dedicato a Mozart, e più precisamente al
    E poi inaugurazione di Filarmonica con Chailly (e Barenobim) e tourneé di Chung e Muti

    Medée per la prima volta alla Scala in francese

    Il capolavoro tragico di Luigi Cherubini, ispirato a Euripide e Corneille, fu presentato a
    E all'Alighieri di Ravenna dirige la Trilogia d'autunno

    Muti fa Norma alla Fondazione Prada

      Il making of di Norma, prima. E l’ascolto, poi. L’Italian Opera Academy di
  • Novità CD

    Frédéric Lodéon “Le Flamboyant”

      In Francia Frédéric Lodéon è conosciuto come volto televisivo, il cui senso dell’umorismo ha aiutato la diffusione della musica classica a un ampio pubblico. Ma l’ex allievo di Rostropovic è prima di tutto un immenso violoncellista, dotato di un temperamento impetuoso. La sua eredità discografica per Erato ed Emi viene raccolta per la prima volta in un cofanetto che include numerosi inediti.         Su “Classic Voice” di carta o nella copia digitale c’è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html      
  • Recensioni CD

    Purcell Fantazias

    È luogo comune constatare il contributo relativamente limitato dei nativi inglesi alla storia della musica, constatazione che viene confutata da alcuni lasciti che assurgono al miracolo, uno dei quali sono le Fantasie di Henry Purcell, esempi sommitali del repertorio cameristico che chiunque desidera o ambisce suonare e che si potrebbero riascoltare all’infinito. Questi contrappunti a quattro parti (salvo due casi a tre), oltre a esplorare le possibilità dell’imitazione in dialogo con lo stile accordale, proseguono nella declinazione della melancholia tardo-rinascimentale collocandosi, come tutto Purcell, in un Barocco speciale, visionario e arcaizzante al contempo, restio alle catalogazioni. Nell’adottare un organico proto-quartettistico a soli strumenti da braccio (violino, due viole e violoncello), John Holloway si sottrae ai numerosi paragoni con le esecuzioni affidate alle viole da gamba e va alla ricerca di un suono assai teso e volutamente “nebbioso”, come di una specie di ghironda gigante che, nel girare, intona le sorti dell’umanità tessendo fili musicali tesi dinanzi alle forbici delle Parche. Usando strumenti che, rispetto alle “gambe”, parlano di meno e cantano di più, si giustificano alcune incrementate rapidità nel gesto, ma vengono a mancare alcuni momenti dove Purcell anela allo struggimento oppure cerca rifugio nel calore umano perché tira sempre un vento freddo e sferzante. Carlo Fiore
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Wilhelm Furtwängler

The Complete Studio Recordings on Deutsche Grammophon (4 Lp Dg)     Genio controverso, la cui arte era profondamente radicata nella tradizione dell’idealismo romantico, Wilhelm Furtwängler ha

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The Complete Recordings on Deutsche Grammophon (10 cd + Blu-ray Dg) Per celebrarne i sessant’anni, Deutsche Grammophon ha raccolto in dieci cd (più un Blu Ray audio) l’integrale delle incisioni di Olivier

Saint-Saëns – Edition

(34 cd Warner)   Il 16 dicembre 2021 ricorre il 100° anniversario della morte di Camille Saint-Saëns. Warner Classics gli dedica una raccolta di 34 cd (illustrati con dipinti di Monet, Degase e

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(15 cd Deutsche Grammophon) Bamberger Symphoniker, Münchener Kammerorchester e Rundfunk-Sinfonieorchester convergono in una raccolta che fa luce su alcune composizioni orchestrali giovanili o quasi mai eseguite
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Liszt La Leggierezza

PIANOFORTE Yang Yang Cai CD Challenge Classics La leggierezza è il titolo che Liszt dette al secondo dei suoi Tre studi da concerto, opera del 1848 e pubblicata l’anno seguente nella quale, rispetto agli