Da Bayreuth a Bologna: ecco il mondo di Oksana

Lyniv sarà la prima direttrice musicale di un grande teatro italiano. Qui la sua prima intervista

Oksana Lyniv, ucraina, 43 anni, sarà la prima direttrice musicale nella storia delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane. Il Teatro Comunale di Bologna l’ha scelta per il prossimo triennio 2022-2024. Primo appuntamento il 14 e 15 gennaio (Auditorium Manzoni), con il prim’atto di Valchiria in forma di concerto e Morte e Trasfigurazione di Richard Strauss. Ma Lyniv ha un altro storico primato: è stata infatti la prima donna a salire sul podio del Festival di Bayreuth, dove lo scorso 25 luglio ha diretto “Fliegende Holländer”, riscuotendo un successo plenario. “Classic Voice” l’ha intervistata in esclusiva prima della sua partenza per la capitale wagneriana. Riproponiamo questo colloquio, pubblicato sul numero di luglio-agosto, all’indomani della sua nomina a direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna.

Lei è nata a Brody, la città di Joseph Roth, la voce della Finis Austriae.

“Sono nata in piena Urss e non c’erano più tracce dell’Impero Asburgico a parte la rovina della grande sinagoga che sta ancora al centro della città e che su di me ha sempre suscitato un fascino misterioso. Nel periodo sovietico era vietata qualsiasi professione religiosa e si parlava poco delle nostre comuni radici europee”.

In quella sinagoga lei ha anche suonato.

“Nel 2019 ho realizzato il mio sogno: davanti alle rovine della sinagoga, una delle più grandi dell’Europa orientale, ho diretto per il 150esimo della morte di Joseph Roth. Suonammo la Sinfonia ‘Kaddish’ di Bernstein. Per l’occasione, sua figlia mi scrisse una bellissima lettera, dicendo che il padre sarebbe stato commosso se avesse saputo che la sua sinfonia, che si occupa proprio del tema di Dio, del peccato e della giustizia, aveva risuonato davanti a un luogo così sacro. Pochi sanno che Bernstein era figlio di emigranti dell’Ucraina, da un posto molto vicino a quello in cui sono nata”.

Ci racconti di lei a Brody.

“Sono nata in una famiglia di musicisti e sin da bambina il mio sogno era lavorare nella musica. Ero indecisa se seguire il padre, maestro di coro, o la madre, pianista. A 18 anni presi la strada della direzione d’orchestra. Con grande sorpresa mi resi conto che benché alle donne fosse consentito studiare direzione d’orchestra soltanto poche trovavano il coraggio di provarci. Quando ho cominciato, nella mia classe di direzione d’orchestra ero da sola, l’anno dopo è arrivata una collega che adesso lavora come direttrice all’Opera di Leopoli. Spesso ero l’unica donna, come ad esempio alla finale del Concorso Gustav Mahler. Così anche alle masterclass. Sempre una donna su 9 uomini”.

Quali sono state le sue figure di riferimento?

Il mio primo viaggio in Germania è stato una rivelazione. Naturalmente avevo molti modelli, ma sono grata soprattutto agli insegnanti della Dresdner Musikhochschule e ai direttori dei quali sono stata assistente: Jonathan Nott alla Bamberger Symphoniker e più tardi Kirill Petrenko alla Bayerische Staatsoper”.

Ci dica tutto di Petrenko.

“La prima opera che abbiamo allestito insieme è stata la Frau ohne Schatten, una delle più complesse di Richard Strauss, con organici molto grandi sia nella buca che dietro le quinte, dove c’è la banda. Per me è stato interessante osservare come si può concepire e dirigere alla perfezione una tale produzione dalla prima prova fino alla sera della prima. La cosa più interessante per me era sentir dire da parte dell’orchestra di aver suonato quest’opera così complessa come se fosse una partitura di Mozart”.

Come Mozart?

“Cioè in maniera leggera e trasparente, conoscendo alla perfezione ogni punto, ogni passaggio. Per Die Soldaten di Zimmermann, per esempio, ho diretto ogni recita in sincronia con Kirill Petrenko, perché avevo il compito di dirigere gli strumenti a percussione aggiunti, che a causa delle grosse dimensioni dell’orchestra erano collocati in uno spazio a parte. Tramite i microfoni e il mixer del tecnico del suono questi strumenti venivano trasferiti e mescolati alla grande orchestra in sala. Ciò che più ha influito sul mio percorso, dicevo, è stata questa sua ricerca di perfezione, il suo modo di concepire la prova in modo tale che sin dal primo giorno ogni minuto fosse produttivo e alla fine, prima del debutto, l’opera era studiata alla perfezione, precisa e chiara in ogni dettaglio. Ogni cantante, anche nei ruoli secondari, ogni musicista dell’orchestra, ogni corista sapeva cosa volesse il direttore ad ogni battuta. Anche nelle opere più complesse si arrivava alla fine con una tale chiarezza e trasparenza che ognuno poteva davvero gioire della messa in scena. Da Petrenko ho imparato che la preparazione bisogna richiederla prima a sè stessi e solo allora la si può richiedere anche agli altri. Da lui ho imparato l’autocritica e l’autocontrollo”.

Come prima direttrice al Festspiele sente una responsabilità storica? 

Non mi ero mai posta questo traguardo. Era al di là delle mie aspettative. Ma la musica di Richard Wagner mi ha affascinato sin dalla mia giovinezza. Durante gli studi ho cercato di procurarmi più partiture possibili e lo facevo con la traduzione russa perché allora non conoscevo il tedesco. Pensare all’importanza di questo luogo naturalmente esercita su di me una certa pressione. Ma d’altro canto sono molto contenta che la nostra società nel XXI secolo sia finalmente pronta a fare questo passo in avanti”.

Trova giusto sottolineare la differenza di genere nel ruolo del direttore? 

“In pratica questo non ha nessuna importanza per la musica. La differenza di genere importa però alla società. Anche se non affrontassimo l’argomento nelle nostre interviste, il pubblico si porrebbe ugualmente certe domande. Adesso non ci domandiamo più se il konzertmeister o il solista sia uomo o donna, ma trent’anni fa era diverso. Ancora alla fine degli anni ’90 nelle più importanti orchestre come al Gewandhaus Leipzig, o ai Wiener e ai Berliner non si contava quasi nessuna donna. Ma adesso è normale che ci siano tante donne e così sarà per le direttrici d’orchestra. La cosa che più mi ha fatto andare avanti è non aver mai cercato il successo personale. Semplicemente non potevo immaginarmi in nessun’altra occupazione. Tra me e me pensavo: anche se dirigerò un solo concerto l’anno, sarà così bello che aspetterò l’anno successivo per arrivare ancora una volta a quel traguardo”.

Quali repertori faranno parte del suo lavoro nei prossimi anni?

“I compositori slavi sono molto vicini al mio cuore, ci sarà una nuova produzione di Rusalka di Dvorák, per esempio. Ma poi anche gli italiani: con la Tosca debutterò quest’autunno al Covent Garden, ed è previsto un dittico verista (Mese Mariano di Giordano e Suor Angelica di Puccini) in un altro teatro d’opera. Come direttrice, però, sento il bisogno di inserire nei miei programmi anche opere di compositori ucraini ingiustamente sconosciuti perché proibiti fino a pochi decenni fa. Ho promosso un’orchestra giovanile dell’Ucraina per promuove i maggiori talenti provenienti da tutte le regioni del paese. Con loro studio e interpreto opere del repertorio occidentale e ucraino per poterle eseguire ai diversi festival giovanili come il Festival di Bonn o il Young Euro Classic Berlin”.

Da come parla, rivendica volentieri la sua formazione ucraina

“Sono molto contenta di aver ricevuto la prima formazione in Ucraina perché rispetto alla Germania si ricevono più ore di direzione d’orchestra e si hanno a disposizione anche più insegnanti per i vari repertori, sia sinfonico che operistico. Avevamo anche più materie di studio pratico con cantanti solisti di un certo repertorio, ore dedicate alla formazione e alla tecnica della voce, e ore di lavoro pratico con orchestre sinfoniche. Dal terzo anno di studio avevamo addirittura ogni settimana prove con orchestre professionali. Questa è una cosa che manca nelle accademie tedesche. Ci sono forse 2-3 appuntamenti a semestre con le orchestre. Così diventa difficile poter fare esperienza professionale”.

Non ci ha detto come si è presentata alle nuove orchestre italiane che ha diretto.

“Cerco di parlare il meno possibile, perché i momenti più magici si creano con la comunicazione non verbale. Nella musica i momenti indecifrabili dietro le parole sono quelli che contano di più,  e non si devono esprimere a parole. I momenti più eccitanti per me sono i primi minuti o la prima mezz’ora di prova con un’orchestra sconosciuta, perché li faccio suonare senza interromperli e senza spiegare nulla. Guardo soltanto come reagiscono a me i musicisti. Perché solo così sorgono delle reazioni spontanee. Facendo parlare la musica, cerchiamo quel legame che ci farà rendere insieme al meglio”. 

Luca Baccolini

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