Il Flauto ridotto da Peter Brook

Il regista, al Piccolo di Milano, sacrifica il superfluo

Il Flauto ridotto da Peter Brook  C’è un “sistema opera”, codificato e cristallizzato, con cui Peter Brook ha smesso di interagire fin dagli anni ’50, dopo diverse esperienze nelle regie liriche (a soli 24 anni è stato fra l’altro direttore di produzione al Covent Garden). “Mi sono detto che era uno spreco d’energie: nel teatro, al di là dell’opera, si poteva andare ben più lontano. Allora perché farsi limitare da una forma così ‘rigida’?”, racconta. Questo non toglie che la lirica abbia continuato a interessarlo, portandolo a creare gioielli quali La tragedia di Carmen da Bizet, Impression de Pelléas da Debussy e Don Giovanni di Mozart, spettacoli in cui la sua personalissima ricerca espressiva e drammaturgica si incontra con il dettato melodrammatico, rivisitandolo e – nel rispetto dell’originale – arrivando a farlo diventare “altro”. Lo scorso anno come ultimo dono al “suo” Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi (il cui timone, che l’ottantacinquenne Brook ha retto fin dal 1974, è passato nelle mani di Olivier Mantei e Olivier Poubelle), il celebre regista ha creato Un Flauto magico, poetica, incantata e quintessenziale rilettura del Singspiele mozartiano che Brook “prosciuga” fino alla sua essenza più vera. Lo spettacolo, dopo il trionfo del debutto, sta ora girando per l’Europa e arriva il 24 febbraio anche al Piccolo Teatro (partner produttivo del Théâtre des Bouffes du Nord nell’operazione). “Per me il teatro ha una sola ragion d’essere – afferma Brook -. Tutto quello che passa in scena deve essere ‘al presente’. Per questo dobbiamo cercare, con amore e rispetto, quel che Mozart ha riversato nelle sue opere e continua essere valido anche per noi. Come farlo? Sperimentando giorno per giorno, cancellando il superfluo, insistendo nella ricerca… anche sbagliando o percorrendo strade inutili. Ma, a poco a poco, imparando a superare le regole tramandate per arrivare a intravvedere la vera forma”. Così Un Flauto magico fa a meno di varie “sovrastrutture”, a cominciare da orchestra e coro, scene elaborate e personaggi “accessori” (come le tre dame della Regina o i tre fanciulli). La rilettura rimaneggia la partitura originaria (lavoro in cui Brook è stato affiancato dal compositore Franck Krawczyk e dalla drammaturga Marie-Hélène Estienne) fino a concentrarla in due ore di musica e recitazione. In una cornice elementare e fiabesca, fra duttili strutture in bambù e teli colorati, rimangono i personaggi principali: Tamino e Pamina, Papageno e Papagena, la Regina della Notte, Sarastro e Monostatos affidati a giovani cantanti (fra loro Dima Bawab, Thomas Dolié, Adrian Strooper, Malia Bendi-Merad e Luc Bertin-Hugault) che Brook ha “plasmato” secondo il suo stile. Accanto a loro compaiono però due nuove figure – affidate a due attori fedelissimi: William Nadylam e Abdou Ouologuem – che incarnano lo “spirito popolare” del capolavoro di Mozart. “Con Krawczyk abbiamo inteso fare qualcosa “alla Mozart” – puntualizza Brook -. Lui per primo ripeteva che là dove c’è profondità ci sono anche leggerezza e improvvisazione e in questo modo arrivava alla purezza. Così siamo partiti dalla musica. Una musica che parla di qualcosa che oggi non si trova nel quotidiano, che non è solo speranza. È qualcosa di inafferrabile che, se riusciamo a entrare in contatto con l’opera, ci rende tutti un po’ meno pessimisti”. Daniela Zacconi

 

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299 Aprile 2024
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