L’Italia s’è desta

Donizetti e Mazzini compagni di velocità. Nel primo volume musicale della storia Treccani

Qual è e com’è il contributo della musica alla cultura italiana? Immenso. Ma la Treccani se ne accorge solo ora. Soltanto nel 2017, infatti, l’Istituto dell’Enciclopedia italiana decide di dedicare un volume alla nostra tradizione musicale. Con 800 pagine e 65 saggi affidati ai maggiori specialisti dei diversi settori, “Il contributo della musica italiana alla storia del pensiero” è una delle sintesi più vaste delle relazioni tra musica, cultura e sapere mai pubblicate. Diretto da Sandro Cappelletto il volume sarà disponibile a partire da questo mese. Per gentile concessione dell’editore abbiamo qui anticipato una porzione del saggio di Antonio Rostagno, dedicato al rapporto tra musica, politica e nazione.

 

MOndo classico l'Italia s'è destaDonizetti e Mazzini condividono più di quanto sembri a prima vista; ciò che li accomuna non è tuttavia una particolare visione politica, che Donizetti ebbe solo parzialmente. È vero che Mazzini nella Filosofia della musica (1836) indicò il compositore come l’ideale guida alla riforma del melodramma militante per la “rigenerazione morale” degli italiani. Ma ciò che li avvicina è qualcosa di più profondo, di cui loro stessi erano consapevoli solo in parte: si tratta di un principio di mentalità, quel “non cosciente collettivo” (Ariès), che si manifesta in strutture mentali molto generali, di cui i comportamenti coscienti sono manifestazioni. La struttura che accomuna i due è quella del tempo, la percezione del tempo, la costruzione del tempo vissuto e storico; più precisamente la “accelerazione” del tempo, che distingue la loro generazione dai “tempi lunghi della Restaurazione” (Meriggi). Diversi storici hanno oggi messo a fuoco questo nuovo principio del “tempo rapido”; Paul Ginsborg ha parlato di “spots of time”, momenti che rivoluzionano l’esistente dopo i quali nulla è più come prima; Koselleck (Storia. La formazione del concetto moderno, p. 67 e p. 120) e Haim Burstin (Rivoluzionari. Antropologia politica della Rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza 2016, pp. 29-33) hanno indicato la “accelerazione” come nuova percezione del tempo storico dopo le rivoluzioni. Ebbene, Donizetti e Mazzini nei loro campi rispettivi sono testimoni di questa mentalità del “tempo accelerato”.
Mazzini in questi anni è letteralmente ossessionato dalla “smania di agire velocemente”; scrive infatti: “Quando i tempi sono maturi per distaccarsi dal presente e innoltrare verso il futuro, ogni esitanza è funesta: snerva e dissolve. La rapidità dei moti è il segreto delle grandi vittorie” (Fede e avvenire). Similmente Donizetti piega le forme della tradizione rossiniana e imprime un’accelerazione, puntando su una “nuclearizzazione” del tempo con attimi in cui tutto il dramma si concentra, colpi di scena tipici del mélodrame francese e della nuova concezione di Victor Hugo, quella che significativamente è stata chiamata “dramaturgie frénétique”. Singole parole di grande rilievo (già “parole sceniche”, come le chiamerà Verdi), recitativi con sezioni melodiche fulminanti, il grande crescendo dei suoi finali, costruito con lente onde di suono che terminano improvvisamente al loro culmine (il “pezzo della grancassa” lo chiamò Berlioz): sono tutti strumenti per realizzare quella “nuclearizzazione”, accelerazione del tempo concentrato negli spots of time (continua).

Antonio Rostagno

 

Il saggio continua nel numero 216 di “Classic Voice” in edicola (maggio 2017)


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