Verdi sbarca a Capaci

Il regista Livermore racconta i suoi Vespri choc

Verdi sbarca a Capaci  Sono destinati a far discutere i verdiani Vespri siciliani che tornano al Regio di Torino dopo quarant’anni (l’ultima volta fu nel 1973, unica regia di Maria Callas che inaugurò il Teatro torinese ricostruito dopo l’incendio). Il 18 febbraio (recita trasmessa in diretta da Rai5 e da Radio3) ci sarà anche il Presidente Napolitano. Sul podio dei complessi del Regio e di un cast che schiera nei ruoli principali Sondra Radvanovsky, Gregory Kunde, Franco Vassallo e Ildar Abdrazakov, c’è Gianandrea Noseda che ha scelto di tagliare i ballabili per dare più compattezza al dramma e che si dice intrigato dall’assenza di spunti melodici immediati “spia di come Verdi in quest’opera stesse affrontando un momento cardine della carriera: di rinnovamento formale, di maggiore impegno nell’orchestrazione. Inizia a pensare a quadri più grandi, a calare le vicende in elementi storici e a tratteggiare situazioni più articolate… a scolpire personaggi che fossero tali e non solo archetipi”. Ma sarà soprattutto il nuovo allestimento di Davide Livermore (nella foto, a destra, insieme a Noseda) con scene di Santi Centineo e costumi di Giusi Giustino a fare parlare di sé. “Ho raccolto la sfida di Verdi”, spiega il regista torinese. “L’obiettivo del compositore non era solo fare un dramma storico, ma una profonda riflessione politica sul suo tempo. Ecco perché ho scelto lo spostamento storico, trasportando il tutto alla nostra contemporaneità”.

L’analisi socio-politica fatta da Verdi ha ancora valore per il pubblico del 2011?
“La riflessione di Verdi è sul senso di partecipazione popolare. Coinvolge il senso dello Stato e della parola “cittadino”. Una riflessione che vale in ogni giorno della nostra vita. Il grosso problema di mettere in scena Vespri siciliani in un contesto contemporaneo sta nell’individuazione di chi siano oggi gli invasori. Ambientandolo nel 2011 non volevo fare della fantapolitica. Oggi ‘l’invasore’ chi è? Chi va a inibire profondamente il senso di partecipazione democratica, di libertà, di condivisione di ideali che portano speranza in una società? È quella parte di società che non ha dignità, che non ha faccia. E lo vedremo veramente in scena: non avremo i francesi con coccarde blu bianche e rosse, ma una parte di popolazione sarà senza faccia, con maschere di gomme che eliminano i lineamenti e cancellano la dignità. Rifacendomi poi a Pasolini, che profeticamente anni fa già parlava di “fascismo mediatico”, nella prima scena, il funerale del fratello di Elena trucidato dai francesi sarà trasmesso in Tv come cerimonia di Stato. Ma, nel momento in cui comincia la sommossa, la diretta televisiva è interrotta, subentrano le “armi di distrazione di massa”: il calcio, non più sport ma droga mediatica, e lo show televisivo più becero”.
E la strage di Capaci?
“Non è una provocazione, ma una grande celebrazione dell’Italia nei suoi eroi, negli esempi più vicini alla nostra quotidianità che hanno testimoniato come si debba essere cittadini fino in fondo di fronte al proprio mandato, al proprio senso di responsabiltà. Al suo arrivo dall’estero Procida vede come prima cosa la strage di Capaci. Lì ci sono i nostri eroi. Nel corso dell’opera Procida si dimostrerà un politico senza scrupoli, ma in quel momento fa riferimento ad alti ideali. E le cose più alte che io posso richiamare alla memoria storica collettiva sono i grandi eroi del nostro tempo”. 
Daniela Zacconi
 

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