Wagner – L’anello del Nibelungo

Wagner - L’anello del Nibelungo

interpreti A. Dohmen, E. Wottrich, E. M. Westbroek, L. Watson, 
S. Gould, H. P. König, G. Siegel, A. Shore, K. Youn
direttore Christian Thielemann
orchestra festival di Bayreuth
14 cd Opus Arte 9000BD

Prima uscita in cd di un’etichetta altrimenti specializzata in dvd. Meglio sarebbe stato soprassedere. Senza il supporto dello spettacolo, difatti, che molto può fare nella costruzione globale dei personaggi, tutta la partita si gioca sulla qualità musicale: e posto nello stesso scaffale dove s’allinea una caterva di concorrenti storiche e no, regge il confronto praticamente con nessuno.
L’orchestra merita senz’altro d’essere ascoltata. Molto vecchia scuola tedesca nel maestoso turgore delle sonorità, con sporadiche incursioni nei paradisi cromatici tipo Karajan (ma un po’ meno nel suo continuo trasmutare dinamico, qui sensibilmente più ingessato nel forte e mezzoforte con repentini pianissimi tanto spettacolari quanto un po’ troppo esibiti), giusto per segnalare che s’è cambiato anno al calendario: orchestra comunque sempre bella, morbida, molto “narrativa” per dir così, quasi mai bloccata nella pontificazione di certa vecchissima scuola.
Ma il canto è abbastanza prossimo all’indecenza. D’accordo che i tempi sono grami, che non solo gente come Varnay, Mödl, Hotter non ci sono più, ma latitano anche le Crespin, i Vickers, gli Stewart e gli Adam. Ma la prosopopea della Bayreuth di Wolfgang Wagner negli ultimi due decenni ha avuto il coraggio di allontanare una Meyer, un Domingo, una Stemme; di non invitare Seiffert, Van Dam, Pape, Kaufmann; di tenere in non cale l’esistenza d’un Juha Uusitalo, che avrebbe potuto rinverdire i fasti addirittura di Hotter. E così abbiamo Wottrich che dovrebbe cantare Siegmund e si strangola ogni due per tre; una Linda Watson che avrebbe problemi con Gutrune e grida Brünnhilde a più non posso; Stephen Gould fa quel che può con Siegfried, e se la sua voce rozza e opaca non è granché va detto che tanto di meglio non s’ascolta da nessuna parte; Hans-Peter König è un Hagen formato mignon il cui accento non susciterebbe apprensione neppure in un asilo infantile. Ma anche peggio vanno le cose per i tanto decisivi ruoli di carattere, la cui piattezza e monotonia d’accento rende privi di carattere alcuno: dal Loge di Arnold Bezuyen al Mime di Gerhard Siegel all’Aberich di Andrew Shore alla Fricka di Michelle Breedt. C’è il Wotan di Albert Dohmen: mugghia parecchio, è sempre ruvido, vociante e sgraziato, ma un qualche barlume di fraseggio lo fa percepire. Termine di paragone per tutti è la Sieglinde di Eva-Marie Westbroek: mi piacerebbe qualche sfumatura espressiva in più, ma ampiezza, qualità e fermezza della linea sono l’unico balsamo vocale nell’intero Ring. Siegfried e Brünnhilde son sempre stata merce rara, siamo d’accordo: ma che una Bayreuth faccia ascoltare Donner così sgangherato e oscillante da parer centenario, dà la misura esatta dell’infimo grado musicale cui il festival era sceso e da cui si spera possano trarlo figlia e nipote del quasi nonagenario Wolfgang.
Elvio Giudici


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299 Aprile 2024
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