CREMONA – Dieci giorni di goduria orgasmica, distribuita in vari luoghi della città (chiese, cortili, teatro Ponchielli) col concorso di artisti dalla grande quando non eccelsa statura: sfilza parossistica di stimolanti proposte di drammaturgia musicale. Come la serata intitolata “Polittico Monteverdiano” (nella foto, ndr): del divino Claudio sono sopravvissute solo tre opere (ma credo abbia ragione Gardiner, quando nell’incontro col pubblico ha ipotizzato che la celebre sua Arianna giaccia in qualche biblioteca, pubblica ma più probabilmente privata), però c’è una moltitudine di madrigali, tutti meravigliosi, e il direttore musicale del festival, Antonio Greco, ne ha assemblato alcuni attorno al celeberrimo Combattimento di Tancredi e Clorinda, realizzando assieme al regista Roberto Catalano uno spettacolo di fascinosissimo teatro, vera e propria opera dove canto, danza, strumentale (tutti favolosi) interagivano in suggestiva armonia, prezioso suggerimento per analoghi esperimenti futuri. Opera vera e propria è invece Orfeo, naturalmente: Francesco Corti e il complesso Il Pomo d’Oro lo hanno suonato meravigliosamente, stendendo una tavolozza cromatica amplissima in virtù d’una pulsione dinamica che respirava teatro in ogni singola nota, accompagnando un cast tutto di giovani e tutti eccellenti, con in testa il protagonista Marco Saccardin, debuttante e già ottimo cantante ma soprattutto grande artista. Peccato solo che la parte scenica di Olivier Fredj non s’attestasse sul medesimo livello, cerebralissima nelle intenzioni e modestissima nei risultati.
Attorno a queste realizzazioni sceniche, una corona di concerti – spesso quattro o cinque uno dopo l’altro in luoghi diversi, eccitante il correre da un capo all’altro di Cremona! – quasi tutti da serbare nella memoria: recital di canto (molto interessante il controtenore Nicolò Balducci, parecchio meno il più celebre ma troppo esangue e smunto Samuel Mariño) e concerti strumentali. Tra questi, giganteggia la serata condotta dal venerato William Christie: quartetto d’archi estratto dai ranghi della sua favolosa Les Arts Florissants e sei voci, hanno fatto ascoltare dieci brani scelti tra quelli della Selva Morale e Spirituale, nessuno men che sublime, apice quello straordinario Pianto della Madonna che è poi il celeberrimo Lamento d’Arianna, con la sensualità dell’amante abbandonata trasfigurata in umanissimo e universale Dolore. Altro momento da ricordare, la riscoperta della Missa in illo Tempore che Monteverdi dedicò a Paolo V, in cui dieci temi del cinquecentesco mottetto omonimo del fiammingo Nicolas Gambert sono presi e sviluppati con strepitoso virtuosismo espressivo, resi al meglio da Federico Maria Sardelli alla testa del superbo complesso Modo Antiquo.
E per finire, Gloria in Excelsis Deo con la super-super-super star Cecilia Bartoli col complesso forse migliore dell’attuale mondo, Les Musiciens du Prince diretto dal loro demiurgo Gianluca Capuano: bravura, fantasia, carisma riversati a pioggia su di una platea tutta in piedi a spellarsi sacrosantamente le mani.
Elvio Giudici
Su “Classic Voice” di carta e nella copia digitale c’è molto di più. Scoprilo tutti i mesi in edicola o su www.classicvoice.com/riviste.html