Bellini – La sonnambula

Bellini - La sonnambula

interpreti E. Gutierrez, A. Siragusa, S. Alaimo
direttore Maurizio Benini
orchestra teatro Lirico di Cagliari
regia Hugo de Ana
regia video Matteo Ricchetti
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Dynamic 33616

L’idea di base di De Ana è nell’omaggio al celebre spettacolo scaligero di Visconti. Oddìo, celebre. Ormai quasi solo per sentito dire, dato che vanno facendosi sempre meno quanti come me l’hanno visto in teatro anziché solo in fotografia, e col corollario magari della sua ripresa con Kraus e la Sutherland (a proposito: beccati entrambi, me lo ricordo come fosse ieri, a riprova che lassù tira aria strana da sempre, mica solo adesso): tra questi, per evidenti ragioni d’anagrafe non può certo annoverarsi De Ana, sicché l’omaggio è in via puramente teorica e su base citazionale. Amina che compare fin dall’inizio in alta parure, con collana orecchini e bracciale di rubini. La foto della Callas che traspare per un attimo dietro la vetrata nella scena dell’albergo, allorché vi entra Amina. Ballerine in tutù tipo Giselle che si proiettano sul fondo quando dovrebbe materializzarsi la sonnambula o il misterioso “fantasma”. L’opera, insomma, quale veicolo di reminiscenza dove s’impastano divismo canoro, stile pittorico (molto composito, quest’ultimo: si alternano una vera e propria galleria di Chagall, impressionisti, simbolisti, preraffaelliti; con diverse citazioni ai molti quadri riguardanti i Concerti sull’Erba), gusto per il tableau vivant composto sulla scena fissa che rappresenta un ondulato prato verde smeraldo che sapientissime luci immergono ora in un dorato tramonto, ora in un azzurro d’acquario, ora in un biancore madreperlaceo, ora in un romanticissimo nero tempestoso, dove giocano ruolo discreto ma efficace le proiezioni. Anche se in linea di principio preferisco una regia, può andare anche quest’impostazione: in qualche modo si mette così una pezza alla particolare struttura di un’opera che per appartenere a quel maledetto genere “semiserio”, in pratica non è né carne né pesce tendendo quindi a scappar via da una precisa connotazione teatrale (però il genio d’un regista proprio in questo dovrebbe vedersi). 
La cubano-americana Eglise Gutierrez, all’epoca – 2008 – molto giovane, ha voce alquanto lieve ma manovrata con gusto e discreta abilità. Proprio il dichiarato omaggio allo spettacolo di Visconti, se proprio vogliamo, anche a chi non lo vorrebbe perché aborre la professione di custode del cimitero degli elefanti canori, fa venire in mente un altro tipo d’accento: né la tecnica vocale è trascendentale al punto da farlo dimenticare, cosa che – oggi – a mio avviso non potrebbe comunque farsi. Siragusa, al contrario, punta moltissimo sulla scansione accentale: anche un po’ eccedendo nel fare un Elvino piuttosto iperpassionale, ma in questo modo l’accento vivacissimo pone in secondo piano il timbro obiettivamente non squisito, e fa invece emergere l’ottima tecnica nell’emettere, sostenere e manovrare una linea piena, omogenea, capace di flettersi a un gioco dinamico molto insistito che appunto nell’alternare con gusto esplosioni quasi parossistiche e vaneggiamenti elegiaci ai bordi dell’allucinazione (davvero “fatti per amarsi”, due personaggi così schizzati), plasma un personaggio abbastanza insolito anche perché proprio personaggio, in luogo del solito bamboccione. E appunto per questo la parruccona bionda si poteva magari lasciarla in camerino. Un po’ arido e fibroso il Conte di Alaimo, ma ancora ampia la cavata e sempre di grande vivacità e comunicativa l’accento. Molto bene la Lisa di Sandra Pastrana (l’opera si dà integralmente, quindi con le sue due arie), e benissimo il coro, nell’ambito d’una direzione come sempre non troppo personale ma molto corretta e musicale di Benini.
di elvio giudici


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