Rossini – L’equivoco stravagante

Rossini - L’equivoco stravagante

Interpreti B. De Simone, M. Vinco, M. Prudenskaja, D. Korchak
direttore Umberto Benedetti Michelangeli
orchestra Haydn di Bolzano
regia Emilio Sagi
regia video Davide Mancini
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Dynamic 33610

Stravagante perché allo zerbinotto scelto da un padre per la figlia amata da un altro, vien fatto credere che la fanciulla sia in realtà un uomo travestito per sfuggire all’arruolamento. Padre che è un tipico villano rifatto, d’eloquio tanto ricercato quanto strafalcionico, dove i doppi sensi dilagano anche più di quanto costumasse nell’opera buffa dell’epoca, che pure al riguardo non era certo timida; e zerbinotto all’insegna del solito binomio muscoli tanti e cervello poco. Situazione pertanto ideale, per un regista intelligente e artisti capaci di stare in scena e d’accentare. Sagi, intelligente lo è, e anche fantasioso. La casa dell’ex villico Gamberotto (che ha fatto fortuna mettendo su un export-import di verdure, come ci informano le insegne all’esterno) è un ambiente hi-tech in stile optical art, col codazzo intellettualoide di Ernestina impegnato a leggere Deleuze, de Beauvoir, Burroughs, Borges e la rivista letteraria El Aleph che prende il nome da una sua celebre raccolta di racconti, ma che sfoglia volentieri Playboy. Recitazione scioltissima, all’insegna d’un sopra le righe calcolato e senza la minima caduta di gusto: vero che il cast dispone al riguardo di due mostri quali De Simone e Vinco, ma bisogna pur sempre dar loro qualcosa da fare. Impagabile il secondo, in particolare, nel ritratto d’un bullastro piacione (chioma ritta gelatinata, camicia aperta, orecchini anelli collana occhiali neri e giacca a rigoni bianchi e neri) che dinoccola come il Verdone di Un sacco bello, e la cui enorme fatica nel capire alcunché la sfaccetta sia nella mimica esilarante, davvero da grande attore, sia in un fraseggio dove la scolpitura della parola – esaltata dal bellissimo timbro – è da fuoriclasse non meno di quanto lo sia quella di De Simone, il cui timbro è invece più a spremuta di limone. Il registro acuto è tirato e parecchio spinto in entrambi: ma potendoli anche vedere, quasi non ci se n’accorge.
Marina Prudenskaja è più bella che brava (molto gutturale l’emissione, vischiosa la coloratura, aciduli gli acuti e fiochino il centro), mentre vale il contrario per Dmitry Korchak. Orchestra garbata nell’accompagnare il canto, ma terribilmente avara di pepe ritmico oltre che parecchio seriosa negli abbandoni patetici.
Elvio Giudici


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