Saint-Saens – Sansone e Dalila

Saint-Saens - Sansone e Dalila

interpreti T. Kerl, M. Tarasova, N. Mijailovic, M. Borovinov
direttore Tomas Netopil
orchestra Vlaamse Oper
regia Omri Nitzan-Amir Nizar Zuabi
regia video Willy Vanduren
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted., Ol.
dvd EuroArts 2058628

Il problema delle messinscene che con pessimo termine s’usano definire “dissacratorie” (che invece, il più delle volte, significa provviste di idee) non è affatto il mutamento di epoca o luogo, il tenere in non cale questa o quella tradizione esecutiva, financo l’eventuale alterazione della struttura drammaturgica originale per proporne una nuova da un’ottica diversa. I grandi registi, se tali sono davvero, questi mutamenti li giustificano poi sempre sul palcoscenico: si chiama teatro. Il problema vero sta nel fatto che non tutti i registi sono grandi registi: ci sono purtroppo anche i piccoli e i minimi. Che scimmiottano: illudendosi che mettere un mitra in mano a un Filisteo biblico e morta lì, automaticamente “faccia” regia anziché una ciofeca. Difatti, guardiamo qui. Siamo in uno dei tanti momenti caldi dell’eterno conflitto mediorientale che oppone gli Israeliani a tutti gli altri: separazione tra gente ricca (probabilmente gli sceicchi che finanziano la guerra col petrolio, ma mica è così chiaro) e poveri angariati, che uccidono Abimélech perché costui a sua volta ha ucciso un bambino. Il quale poi ricompare una prima volta esanime e sanguinante nel letto di Dalilah, e una seconda invece vispo – quantunque sempre sanguinante – alla fine: per provvedere Samson d’un giubbotto di dinamite che questi indossa trasformandosi in kamikaze, levando in alto il percussore proprio sull’ultima nota.
Va bene, “il concetto ci dissero, vediamo com’esso è svolto”. Tutti fermi a fare i soliti gesti con le solite facce. Allora non toglie qualcosa per metterci qualcos’altro che a torto o a ragione si ritiene possa comunicarci qualcosa di più idoneo a far vivere oggi un lavoro nato un secolo e mezzo fa: semplicemente, si mettono le braghe al teatro musicale strizzando contemporaneamente l’occhio cercando la complicità di chi la pletora ormai oltremodo consistente dei registi veri non l’ha mai vista e crede sia questa roba qui. E oggi, per vederli, nella stragrande maggioranza dei casi non occorre neppure il low-cost: basta ordinarsi un dvd. 
Per giunta, tale desolante non-teatro è aggravato da una pessima esecuzione musicale. Torsten Kerl ha gli acuti (brutti, molto caprini e sbiancati, ma li ha) e nient’altro. Marianna Tarasova mette insieme una Dalilah assai migliore della sua recente Azucena parmense, ma i gravi sono pur sempre uterini e gli acuti spinti da sotto, sforzatissimi: per non dire dell’incongruità d’una Dalilah agée e totalmente priva di fascino purchessia. Entrambi, poi, cantano una sorta di lingua franca del tutto inintelligibile. Gli altri sono un disastro molto peggiore, la direzione è grigiastra, pesante, di dinamica pachidermica, e la scenografia è da oratorio, apice il letto di Dalilah sormontato da una corollona di cinque petali rosso cremisi che alla fine si chiudono sul corpaccione di Samson che arrancando è arrivato fin lì. Mamma mia, e pensare che s’è fatta dell’ironia sullo spettacolo di De Ana!

di elvio giudici


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299 Aprile 2024
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