Strehler, la musica che si vede

I cento anni del regista che voleva essere direttore

MILANO – Il teatro, si sa, è un’arte effimera e sfuggente, che vive giusto per qualche sera prima di finire al macero. Per questo bisogna intendersi quando si dice che il lavoro di un regista, nella fattispecie Giorgio Strehler, è un classico. Cosa significa? Forse che si può stabilire un prima e un dopo rispetto ai suoi spettacoli, che nelle sue regie si trovano una coerenza espressiva e una poetica riconoscibile, autoriale appunto, certamente soggetta a invecchiamenti, che potrà divenire obsoleta in poco tempo, ma che costituisce un lascito, un punto di riferimento con cui chiunque dovrà fare i conti da quel momento in avanti.
A cento anni dalla sua nascita, il 14 agosto del 1921, sotto il segno del leone di cui portava fieramente la criniera – sempre con riflesso turchino -, Strehler è stato analizzato, storicizzato, divinizzato, ridimensionato. Superato? Non c’è dubbio. Ma qualcosa della sua visione, dei suoi scritti, del suo metodo così tormentato, passionale e veemente fino a un passo dal grottesco, può dire ancora molto del mestiere di regista. Mestiere che, almeno in Italia, ha contribuito se non a inventare, quantomeno ad affermare.
Potrà stupire che alcune delle riflessioni più illuminanti di Strehler, che spiegano molto della sua attività teatrale, della sua ispirazione, del suo perfezionismo maniacale, siano legate in effetti più all’opera che alla prosa. Del resto la musica è stata una delle componenti principali della sua formazione. Forse persino la più importante, se si ricorda che la madre, Albertina Lovric, è stata una violinista di successo diretta anche da Furtwängler. Fu a un suo concerto al Teatro Verdi di Trieste che il piccolo Giorgio capì la magia dell’arte, o meglio della performance di fronte al pubblico, vedendo come la madre riuscisse a tenere una sala intera con il fiato sospeso nella cadenza del Concerto di Mendelssohn (lo racconta Cristina Battocletti nella sua ricca biografia Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste, La Nave di Teseo, 2021).
Va da sé che anche Strehler imparò a suonare uno strumento: il pianoforte, senza troppe pretese, ma quanto basta per saper leggere uno spartito, come noterà anni dopo, nel 1949, Victor de Sabata durante le prove di Pelléas et Melisande alla Scala, spettacolo con regia di Yvon Chéri a cui Strehler collaborò. Colpito dalla presenza di questo giovane regista capace di seguire le prove con la partitura in mano, de Sabata gli propose di riprendere a studiare musica sotto la sua guida.

(…continua nel numero di novembre di “Classic Voice”)

Mattia Palma


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