Mahler – Das Lied von der Erde

Mahler - Das Lied von der Erde

interpreti Fritz Wunderlich, Dietrich Fischer-Dieskau
direttore Josef Krips
orchestra Wiener Symphoniker
cd Dg 4778988
prezzo € 18,40

“Grido amaro, rassegnato ma straordinariamente appassionato, di un’anima che si accommiata e si dilegua: l’intima confessione di un essere già toccato dalla morte”. Così Bruno Walter, nella sua autobiografia, descrive questo lavoro che fece ascoltare per la prima volta nel novembre 1911, sei mesi dopo la morte di Mahler di cui fu a lungo collaboratore e amico. La sua interpretazione (documentata da tre incisioni) è difatti all’insegna d’un doppio autobiografismo – suo e di Mahler – legato intimamente a una sorta di requiem: per una cultura e un mondo, che la guerra aveva irreversibilmente mutato nel profondo.  Molto diversa l’ottica di Krips: più che un requiem, una rivisitazione entusiasta, dove il rimpianto vi si stende come un velo leggero velo traslucido che esalta ancora di più sia l’aurorale trasparenza in cui svolge il tessuto strumentale, sia la vivida smaltatura cromatica che vi sa infondere, sia infine la molteplicità straordinaria dei minuti particolari ritmici, armonici ma soprattutto melodici. Canta con tale convinzione, Krips, da mettere in ombra quasi ogni asperità della scrittura, forse davvero un po’ troppo: e fa respirare l’orchestra (non propriamente eccelsa, a vero dire, con diverse sporcizie e slabbrature) in stretto unisono coi due solisti. È tipico del direttore che inizia come violinista, l’essere un grande accompagnatore: Boskowsky sosteneva sempre che solo chi abbia tenuto materialmente in mano il violino sa davvero quando finisce un’arcata, riuscendo a far respirare gli archi – e quindi l’orchestra tutta – con una fisiologia affine a quella vocale. In più, questo viennesissimo allievo di Weingartner fu mozartiano di stampo forse un tantino antico, ma di gran razza: e non si è mozartiani davvero (e nemmeno viennesi veri) se non si sa cantare, se non si sa concertare le voci in modo da farne strumenti dell’orchestra pur serbandone l’autonomia.
Fischer-Dieskau è uno dei pochissimi baritoni ad aver affrontato questi canti (le prescrizioni di Mahler circa l’impiego d’un baritono o d’un mezzosoprano sono abbastanza ambigue e dunque possibilistiche in entrambe le direzioni): anche Walter l’aveva impiegato, nella sua prima esecuzione, ed ebbe a scrivere “mai più”, ma forse non aveva a disposizione interprete simile. Un prodigio. Di tecnica, nel plasmare una linea vocale tutta galleggiante sul fiato e quindi fluida, senza incrinature, morbida, duttilissima ad ogni pulsione dinamica. La tecnica fornisce dunque l’indispensabile materiale  a una fantasia d’interprete tra le maggiori di sempre: accenti d’incisiva esultanza sfumano impercettibilmente in chiaroscuri intrisi di pensosa melanconia, in struggimenti languorosi sul filo di pianissimi ineffabili, in quella ricchezza d’accenti di cui è sempre stato prodigo, ma anche in una comunicativa frutto d’immediatezza espressiva che non sempre questo sommo artista è riuscito a esplicitare, ma che qui culmina in un Abschied la cui tavolozza cromatica d’emozionantissima intensità. Fritz Wunderlich è il “Götterknabe, il ragazzo degli Dei” che sempre si conferma ogni volta che se ne riascolta il suo timbro così luminoso, raggiante lungo una linea vocale magnifica per ampiezza e forza di penetrazione, ma soprattutto per quell’intima esultanza di cantare che sprizza da ogni sua nota. Si sa quanto incantabili siano i tre canti tenorili di questa Sinfonia vocale: qua e là sforza persino uno che si chiama Wunderlich (meraviglioso), ma anche quando forza sprigiona radiosità e una dolcezza virile così fascinose che per enumerarne di simili bastano le dita d’una mano. Concerto dal vivo, che si sapeva essere stato registrato, ma mai era apparso in disco, neppure piratissimo: colui o coloro ai quali si deve la decisione di pubblicarlo, hanno fatto opera meritoria.

di elvio giudici


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