Jazz al Blue note – Milano

Louis-21-1C’erano una volta a Milano gli anni del boom economico, con i Beatles al Vigorelli, con la prima linea della metropolitana, con la Fiera Campionaria a metà aprile, con la Fiat 500 e con il jazz di cui il capoluogo lombardo era approdo obbligato per i grandi nomi, da Billie Holiday e a Louis Armstrong (nella foto), da ascoltare al Santa Tecla (jazz club aperto nel 1951 a due passi dal Duomo) e poi al Capolinea, dove dal 1968 convergevano puntualmente dopo i concerti ufficiali trombettisti storici quali Chet Baker e Dizzie Gillespie, batteristi caposcuola come Art Blakey, sassofonisti cool quali Jerry Mulligan. Una sera alle sei del mattino arrivarono i carabinieri a interrompere uno sfrenato (vibrafonista) Lionel Hampton: per fortuna uno dei militi era appassionato di jazz; e la musica continuò per altre due ore. Erano altri tempi. Oggi a ricordare tale glorioso passato jazz in una Milano “liquida” che pare indifferente alla sua stessa storia, c’è il Blue Note, il club di via Borsieri dove si ha l’occasione di ascoltare grandi nomi del jazz mondiale come il batterista Billy Cobham, che a fine gennaio ha tenuto due serate ripercorrendo il suo primo album di successo da solista Spectrum. Grazie alla formula del franchising la famiglia Bensusan, proprietaria dal 1981 del primo Blue Note di New York, dopo averne aperti altri a Tokyo (1988), Osaka (1990) Las Vegas (2000) e Nagoia (2002), nel 2003 sceglieva Milano (concerto inaugurale di Chick Corea) come sede europea del marchio. Il locale di via Borsieri (nel quartiere popolare detto “isola”) ha concluso il 2013 con almeno due concerti meritevoli di attenzione: quello di Stacey Kent, cantante statunitense ma inglese di adozione, che ha presentato live il suo ultimo cd The Changing Lights, omaggio all’inventore della bossa nova Tom Jobim. E quello fra Natale e Capodanno dell’Angels in Harlem Gospel Choir di cui parliamo nella recensione che segue (da leggere su “Classic Voice” 177 di febbraio 2014). La Kent sta vivendo un momento di fortuna in Italia. Figura esile dal portamento confidenziale, canta Jobim (One Note Samba oppure How insensitive) scoprendo un’intensità poetica nuova in una rilettura opportunamente intimista, anche se nettamente in contrasto con la precisione un po’ scolastica dell’arrangiamento del marito sassofonista Jim Tomlinson. Precisione che – in virtù del contrasto – aiuta a far risaltare la profondità di un’interprete d’eccezionali doti vocali grazie alle quali ha ricevuto una Grammy Nomination per il cd di cui stiamo parlando; dopo che già era stata “disco dell’anno” (2006) con The Lyric per i Bbc Jazz Award. Stacey Kent, nata nel New Jersey e trasferitasi in Inghilterra dove ha conosciuto e sposato Tomlinson, da sempre al suo fianco, ha inciso il primo disco nel 1997 (Close Your Eyes) inaugurando quella capacità di penetrare i versi che fa di ogni suo concerto un incontro quasi fisico col pubblico che, ascoltandola, s’immerge fino all’ipnosi nella rotondità gentile ma inesorabile della sua voce suadente.

Alessandro Traverso

 


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