Monteverdi L’Incoronazione di Poppea

DIRETTORE Antonio Greco
REGIA Pier Luigi Pizzi
TEATRO Ponchielli

Insieme a Verdi e Puccini, Monteverdi è il nostro autore più internazionale. Piace a francesi, inglesi e americani. Si è visto a Cremona: rispetto a qualche anno fa, il festival è diventato approdo dei fan(atici) della early music, non solo nostrani. Nelle strade limitrofe del Ponchielli è tutto uno sciamare di baroccofili, tra liuterie e salumerie: un popolo elegante, chic, altro che i fricchettoni di una volta. L’evento da seguire nella città del loro beniamino è L’Incoronazione di Poppea per la regia di Pier Luigi Pizzi, capofila di un cartellone ricco di sfizi e prelibatezze che questo giornale ha già presentato ai nostri lettori. E Pizzi non delude: fa Pizzi. Il suo Nerone di Federico Fiorio, vocalmente insinuante e querulo, è un machiavellico Claudio il MAGNIFICO Cinque magni Principe, un signore d’epoca rinascimentale o barocca, tutto concentrato sul potere: a realizzare “ciò che vuol” con le sottili armi della ragione. Non importa se il Seneca di Federico Domenico Eraldo Sacchi, a ragione meno seduttivo, non è d’accordo. Lo spettacolo vive di una disinvolta, sapida, azione gestuale.
Con l’ammiccante, scenicamente giuliva, Poppea di Roberta Mameli, voce sontuosa. La cifra resta sempre elegante, nelle spiritose piroette dell’attempata nutrice di Danilo Pastore così come nei lascivi, libertini, erotizzanti palpeggiamenti di Lucano (Luigi Morassi) e Nerone. Ma non chiedete a Pizzi sconfinamenti nelle sconcezze plebee che il doppio registro monteverdiano talvolta concede. È il limite anche della direzione di Antonio Greco, chiamato pare al posto di Ottavio Dantone a cui lo spettacolo era destinato originariamente: al fondatore di Cremona Antiqua non difetta la calligrafia madrigalistica, la gestione appropriata del
connubio parola suono.
Basta sentire come cantano e pronunciano tutti, compresi Josè Maria Lo Monaco, Candida Guida, Chiara Nicastro ed Enrico Torre. Ma la varietà e discontinuità, l’alto e basso, del teatro monteverdiano, richiede altre sorprese, anche nelle scelte strumentali.
ANDREA ESTERO


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