Se il concerto raddoppia

Al GIovanni da Udine l'esecuzione si replica lo stesso giorno. Protagonista Gergiev

No, non si tratta di una novità: basti pensare – ma di esempi se ne potrebbero fare altri – a Riccardo Muti con i Wiener Philharmoniker all’Alighieri di Ravenna, lo scorso 9 maggio. In tempi normali, tuttavia, non era certo frequente vedere nello stesso teatro, e a poche ore di distanza, la stessa orchestra e lo stesso direttore, impegnati in programmi talvolta differenti o, talvolta, identici. Ma il Covid, almeno in base alla normativa per contrastarlo, significa distanziamento. E il distanziamento significa meno posti disponibili.
Se al Giovanni da Udine un concerto come quello del 12 settembre prima della pandemia avrebbe fatto agevolmente il tutto esaurito, ora, proprio nel tentativo di soddisfare gli appassionati, viene quindi proposto alle 18 e alle 21, con gli spettatori ovviamente liberi di scegliere la soluzione preferita: alle 18 quattro momenti dalla Suite tratta dal Romeo e Giulietta di Prokofiev e “La Grande” di Schubert; alle 21, il medesimo Prokofiev e, a seguire, “L’Italiana” di Mendelssohn. Quanto ai bis, l’ouverture del “Pipistrello” nel primo caso e, nel secondo, la berceuse e il finale dall’”Uccello di Fuoco”.
Valerij Gergiev, ormai abituato a ritmi frenetici – tra i direttori è indubbiamente uno di quelli con l’attività più intensa – non s’è lasciato sfiorare né dalla stanchezza né da cali di tensione, facendo vincere la sfida al teatro friulano, almeno stando alla qualità della prestazione: anzi, è parso in splendida forma, complice il legame esclusivo con la sua Mariinsky Orchestra.
Il “Romeo e Giulietta”, allora, l’ha affrontato in maniera sensibilmente differente nelle due esecuzioni, sempre però con quella familiarità che cela anni e anni di frequentazione del repertorio. Ma, soprattutto, è emersa la capacità della compagine di seguire alla lettera il suo personalissimo gesto, che non pare propriamente facile da tradursi in musica: ecco, allora, uno Schubert che si è dipanato come più fluidamente non si poteva, senza nulla togliere al senso della forma, della struttura, ed ecco un Mendelssohn infuocato, brillante, unicamente faticoso a procedere nel “Con moto moderato”, in cui il direttore avrebbe dovuto lasciar correre di più. Ma, nel complesso, sono dettagli sopraffatti da altre mirabilie (basti pensare alla bellezza del suono: così morbido, così antico!). Insomma, nulla hanno tolto ai meritati applausi finali.
Pare opportuno però soffermarsi ancora sulla particolarità dei due concerti proposti a un’ora o poco più di distanza.
“Volendo rimanere fedele al taglio delle stagioni che ho ideato in questi anni, e quindi con un certo livello per quanto attiene ai complessi sinfonici, l’opportunità di offrire spettacoli meravigliosi – racconta il sovrintendente del Giovanni da Udine, Marco Feruglio – è ora diventata assai impegnativa dal punto di vista organizzativo ed economico. Ciò, insomma, avrebbe finito per dare soltanto a una parte del pubblico la possibilità di assistere agli eventi. Da subito, grazie alla grande collaborazione con artisti e promotori, ho quindi cercato la soluzione che domenica scorsa, e prima ancora, il 10 luglio con Martha Argerich, Charles Dutoit e la Filarmonica Slovena, si è potuta apprezzare, secondo una formula che ho voluto ripetere mercoledì 22 settembre quando, sempre alle 18 e poi alle 21, avremo Yuja Wang con la Mahler Chamber Orchestra”.
Di posti a sedere, il teatro friulano ne ha 1236. Per questi appuntamenti ne tiene 500, nemmeno riempiti per intero. Perché, aggiunge Feruglio “occorre fare i conti con la paura e poi c’è una notevole percentuale dei nostri habitué che non ha il Green Pass. Va poi considerato che per qualcuno, questi sono ancora periodi di vacanza, come non va dimenticato che quelli con Martha Argerich, Gergiev e Yuja Wang risultano eventi fuori abbonamento”.
La conclusione è scontata o quasi: se la musica dal vivo è, per ora ripartita, occorre fare i conti con quei cambiamenti che la pandemia impone e che riguardano gli appassionati da una parte, gli operatori culturali dall’altra. Ritorneranno, allora, i tempi migliori?
Alex Pessotto

 

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