Beethoven Sonate per pianoforte op.109, 110, 111

pianoforte Davide Cabassi
cd Hungaroton

Seguo personalmente le incisioni e i concerti di Davide Cabassi da una quindicina d’anni e mi sono sempre trovato di fronte a un pianista del quale non si può mettere in discussione la preparazione tecnica, l’aggiornamento, la profondità della conoscenza dei singoli autori da lui affrontati. Le Sonate di Beethoven da lui incise per la Decca e ora per la Hungaroton discendono dalla lettura approfondita delle maggiori edizioni in circolazione, buon ultima quella di Barry Cooper.
In base a queste premesse mi sono messo all’ascolto del “trio supremo” delle Sonate op. 109-110- 111 abbandonandomi alla piacevolezza assoluta dell’eloquio – gli altri parametri li davo per scontati – e ponendo in secondo piano l’ascolto “da critico”. Come nel caso dei cd beethoveniani precedenti sono stato attratto ancora una volta dalla precisione della lettura – che ha come secondo fine anche un prezioso messaggio didattico -, dal ripensamento di una lunga tradizione interpretativa del passato anche recente, dalla cura maniacale ma allo stesso tempo spontanea del suono.
Tutto questo cercando, e qui sta il difficile, di non imbrigliare il discorso beethoveniano in un che di astrattamente perfetto ma neanche – e qui ci mette in guardia lo stesso Cooper – di proporre delle micro-varianti al testo che vadano troppo al di là di ciò che consideriamo come versione originale. Il pianista cerca qui a nostro parere sia di mettere l’ascoltatore a proprio agio rispetto alla conoscenza di una tradizione esecutiva già nota, sia di porre l’attenzione su numerose specificità di un discorso musicale che, per la sua imprevedibile genialità, ti stupisce battuta per battuta, come se incontrassimo questo Beethoven per la prima volta.
Se all’inizio il parametro che più mi ha coinvolto è stato quello del suono, caldo, avvolgente dovuto allo strumento qui impiegato ma anche e soprattutto dalla partecipazione intima del pianista, poi l’analisi testuale ha fatto emergere tanti particolari dove il rispetto del segno mediato dalla fantasia e dalla bravura di Cabassi vanno al di là del prevedibile. Solo alcuni esempi, ma bisognerebbe soffermarsi precisamente su moltissimi dettagli del testo: la terza e la quinta variazione nell’andante della 109, dove il carattere a metà tra recitativo e corale del tema esplode in un turbinio passaggi veloci a mani alternate o si arrovella in un fugato di complessa tessitura; o ancora la dizione perfetta dell’arioso dolente nella 110 con la magnifica scelta nello scandire il canto ma anche il suo sostegno alla mano sinistra; e poi, nella 111, i passaggi all’unisono nell’Allegro, la precisione, ma sorretta da un magnifico cantabile, nella terza variazione dell’arietta o tutta la sezione in trilli multipli poco più avanti e tutta la chiusa. Sono dettagli che nulla tolgono alla felicità dell’insieme, ma che illustrano i vari aspetti che si colgono in questa incisione in una miscela di spontaneità e di “dottrina” difficilissima da raggiungere.
Luca Chierici


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310 Marzo 2025
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