Furrer – Wüstenbuch Ira-arca, Lied, Aer

soprano Tora Augestad
baritono Sébastien Brohier
flauto Eva Furrer
contrabbasso Uli Fussenegger
pianoforte Mikhail Dubov
violino Vladislav Pesin
trio Catch
ensemble Klangforum Wien
direttore Beat Furrer
2 cd Kairos 0013132KAI
prezzo 17,50

 

Furrer

Composto nel 2009, messo in scena al Teatro di Basilea, registrato al Festival MaerzMusik nel 2010, Wüstenbuch è il sesto lavoro per il teatro di Beat Furrer. È concepito come un dramma senza azione, come un viaggio nel deserto (Wüste), che diventa spazio di proiezione, oggetto negativo, metafora della dissoluzione delle strutture sociali. E si basa su un collage di testi: frammenti egizi del Papiro di Berlino 3024 (il drammatico dialogo interiore tra un uomo disperato e il suo ka, la sua anima, che tenta di consolarlo e di convincerlo a continuare a vivere); stralci del racconto fatto da Ingeborg Bachmann di un suo viaggio catartico in Egitto; passi tratti da Händl Klaus, Antonio Machado, Lucrezio, Apuleio. Ascoltare quest’opera è come decifrare frammenti di una cultura quasi incomprensibile, che appartiene al passato, con figure che appaiono come fantasmi. Ma anche con questa materia così evanescente, che si sviluppa come una forma di oblio, Furrer riesce a creare una precisa drammaturgia, carica di tensione, in 12 scene. Usa strutture ripetitive, ma con sovrapposizioni, calcolati sviluppi, continue metamorfosi timbriche. Cerca un’originale sintesi tra voce cantata e parlata (il cast prevede tre cantanti e sei attori), e gioca spesso su brevi frasi all’unisono (che richiamano Sciarrino) ma in un rapporto dialettico con uno sfondo pieno di sorde turbolenze e squarci lirici (come nella scena IX). Mette in gioco piccole particelle musicali, che si attraggono e si respingono, creando ampie superfici sonore, molto connotate, ma senza rinunciare ad improvvise impennate drammatiche (nella scena IV), a combinazioni di elementi eterogenei (come i gesti violenti e le calme polifonie della scena VIII). Nei tre lavori cameristici registrati nel secondo cd si coglie bene l’evoluzione del linguaggio musicale di Furrer, dai primi anni Novanta a oggi, dai processi musicali più astratti e concettuali di Aer (1991) e Lied (1993) alla materia viva e palpitante di Ira-arca (2012). Aer, per pianoforte, clarinetto e violoncello (affidato all’ottimo Trio Catch) prendeva spunto da un’idea dei filosofi presocratici (l’aria come la sostanza d’origine di tutto l’esistente) per creare processi di rarefazione e condensazione, con nervose interiezioni intorno a un lungo continuum del clarinetto; Lied per violino e pianoforte partiva invece dal Lied Auf dem Flusse di Schubert (da Winterreise) per creare un movimento rotatorio, raggelato, basato su linee che si muovono su metronomi diversi. Scritto per Eva Furrer e Uli Fussenegger, il bellissimo Ira-arca, per flauto basso e contrabbasso, si ispira invece ad un principio tipico della musica degli Incas, il processo di inalazione e esalazione, giocando su ripetizioni, distorsioni, strutture melodiche ad incastro (come degli hoquetus), trasformando gradualmente i rumori in suoni molto definiti, differenziando al massimo i colori, con una grande varietà di tecniche strumentali.
Gianluigi Mattietti

 


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