Musiche di Adams, Copland, Gershwin, Stravinskij pianoforti Lukas Geniušas Anna Geniushene cd Alpha Classics

La Hallelujah Junction è quella che si staglia desolata in copertina: il distributore perso nel nulla ai confini tra California e Nevada, alla giunzione tra due strade dell’America arrivati alla quale, forse, i camionisti ringraziano il cielo di essere arrivati almeno lì. E Hallelujah Junction è il titolo del pezzo di John Adams che chiude l’album scaricando su due tastiere quel mix estroverso di pianismo semiclassico, moduli ripetitivi, eco di Bali, aromi afro e tutto quel che a un figlio dell’America può venire in mente di versare in serbatoio dalla pompa che distribuisce stili e forme in libertà. Pezzo gagliardo, in tre movimenti: sedici minuti di scattanti ribattuti, con un secondo più delicato tra i due veloci esterni, alla maniera classica.
Il pezzo di Adams è impetuoso, ma ce ne sono due ancor più estremi, nei loro martellanti ostinati, che la strana coppia di pianisti – Lukas Geniušas e Anna Geniushene, russi di formazione – scatena su due Bechstein paralleli (scelta curiosa anche questa, con una sua ragione quando si tratta di estrarre bassi più rotondi nei tre autori della prima parte).
Winsboro Cotton Mill Blues di Frederic Rzewski (1938-2021) è implacabile nel trasformare in materia ritmica pura qualcosa che dovrebbe venire dal canto nei campi di cotone, di cui si ricorda e cui rende omaggio alla fine, dopo un’abbondante metà del pezzo, reso così bifronte prima di riprendere la sua corsa nel finale. Con Colin McPhee (1900-1964) escono a sbalzo le spesso ignorate radici del minimalismo: i tre movimenti della Balinese Ceremonial Music sono solo alcune delle molte trascrizioni-trasformazioni che McPhee, studioso profondo della musica di Bali, offrì come modello per le sue tre Parabole da chiesa anche a Britten (che in un viaggio nel lontano Est aveva scoperto il gamelan “più complicato della dodecafonia”). Il n.3, Taboeh Teloe, è pre-minimalismo allo stato puro, datato 1934.
Anche l’album è bifronte: i tre titoli della prima parte – Cuban Overture di Gershwin, Dumbarton Oaks di Stravinskij, El Salón Mexico di Copland nella trascrizione di Bernstein – sono la classicità di quell’America che continuiamo a trattare da bambina anche se ha cent’anni. I due giovani russi sanno trattare anche quella.
Carlo Maria Cella




