Mascagni Cavalleria rusticana

interpreti C. Lopez Moreno, G. Berrugi, D. Krizaj, E. Fiorillo
direttore Thomas Hengelbrock
orchestra Balthazar Neumann
cd Prospero 0088

Una delle gran mode recenti è lo scovare pezzulli scartati dai compositori per ragioni le più varie, ripristinarle, e guadagnarsi così medaglie musicologiche. Ci può anche stare, in taluni casi, ma per lo più si tratta di fuochi fatui che nulla dicono d’interessante e men che mai di durevole: e comunque, la partita la si gioca poi sul come tali pezzulli siano eseguiti, nell’ambito del lavoro intero.
Qui, siamo al disastro su tutta la linea. Una terza parte nell’entrata di Alfio, col coro in primo piano, che aggiunge niente (e tutte le disquisizioni circa i giri tonali che in tal modo sarebbero più logici, lasciano il tempo che trovano); una lunga coda al Brindisi, anch’essa col coro in primo piano, che serve solo ad allungare un po’ la sbobba. Entrambe eseguite malissimo (il baritono è corto, ingolato, tutto aperto quindi si strangola anche nei modesti acuti di Alfio, e ha una dizione infame) oppure maluccio (Giorgio Berrugi ha timbro ingrato, emissione dura e sforzata). Detto che Carolina Lopez Moreno grida parecchio oppure ciangotta (quell’entrata tutta lagnosa e querula è brutta assai), con orridi sconfinamenti nel parlato stile anni quaranta; e che la Lucia di Elisabetta Fiorillo suscita tristezza pensando al suo passato: tutto riesce persino a passare in secondo piano rispetto all’orrore che fanno ascoltare orchestra e coro. Questo è tutto un canto fisso oltre ogni umana idea, l’arco melodico privo affatto affatto di legato, quindi fatto procedere a balzelloni, calcato l’attacco e poi scivolar via, molto stile yodel: e la corista cui è affidato il finale, fa udire un divertentissimo “hano amazato compare Tùrridu”, ma con la finezza di evitare l’urlaccio che tanto spesso lo precede. Quella, è la tipica orchestra barocca che alle prese con partiture italiche fa udire suoni anch’essi fissi, ora chiocci ora all’insegna dello squasso nibelungico, senza un colore che uno, con andamento agogico tipicamente a yo-yo, d’effetto a dir poco orripilante. Ma va là, “original version”; si cerchi di cantare bene e di suonare con stile adeguato: che non è, assolutamente non è, l’eterno sole-pizza-amore-coltello che si crede lassù, per giunta cucinati alla falso chic in salsa pseudobarocca. Ma per piacere.
Elvio Giudici


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