Rossini – Stabat Mater

Rossini - Stabat Mater

interpreti A. Netrebko, J. DiDonato, L. Brownlee, I. D’Arcangelo
direttore Antonio Pappano
orchestra Accademia di Santa Cecilia
cd Emi 4052922

Sempre aperta a un dibattito mai concluso, la questione circa il modo di trattare questo favoloso intreccio di stili primottocenteschi ovvero operistici: citazioni del lontano contrappunto palestriniano, anticipazioni inconsce d’un romanticismo prossimo venturo avversato a parole ma si sa come poi vanno queste cose. Il polistilismo del rossiniano Stabat, Pappano lo risolve dunque nel modo secondo me migliore: accettandolo tal quale, ma non accentuandone la disomogeneità bensì facendone una geniale anticipazione di quell’intreccio di passato e presente che caratterizzerà la musica italiana di quasi un secolo dopo. Non prefigura, voglio dire, il Requiem verdiano: bensì fa intuire (sentire solo come Pappano stacca e svolge “Quando corpus morietur”) le turbolenze che da esso, e ancor più dai Quattro pezzi sacri, ne scaturiranno caratterizzando tutto l’italico fine secolo strumentale. I luoghi di più marcata melodrammaticità (aria tenore, duetto delle due donne, l’Inflammatus) sono gloriosamente accettati per tali, ma in filigrana vi compaiono per così dire delle virgolette che li rendono citazioni: una sorta di distanziazione, come di chi contempli qualcosa di contemporaneo ma attraverso un canocchiale rovesciato, dalla singolare, affascinante efficacia.
Un’ottica del genere comporta un certosino lavoro di dinamica e di articolazione dei piani sonori, nonché una cura della qualità del suono cui orchestra e coro rispondono in modo superbo. Bravi lo sono stati sempre, a Santa Cecilia, ma dischi come questo (e in magnifica sintonia col Guglielmo Tell inaugurale della presente stagione sinfonica) dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, a cosa serva la presenza d’un direttore musicale continuativamente presente sul podio e negli uffici della programmazione.
Il quartetto di solisti potrebbe forse essere diverso, ma non mai migliore. Lawrence Brownlee coniuga nella sua linea vocale incisività e morbidezza, con una gamma di sfumature affatto  insolite in una parte risolta nella stragrande maggioranza dei casi solo col fulgore del registro acuto in “Cuius animam”. Nessuna voce di basso, in questo repertorio, regge il confronto con la bellezza, rotondità, compattezza di quella di Ildebrando D’Arcangelo: e ben poche (sentire cos’è la mezzavoce cui affida la ripresa di “Pro peccatis”!) riescono ad aprire analogo ventaglio di chiaroscuri. Formidabili le due voci femminili: luminosissima, vibrante, tutta slanci e ripiegamenti elegiaci sul filo di un’impeccabile musicalità quella della Netrebko; austera, morbida e piena di fascinosi riverberi ramati quella della DiDonato. È il top della discografia di questo strano, affascinante, enigmatico lavoro: destinato, mi sa, a restarlo per parecchio.


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299 Aprile 2024
Classic Voice