Handel La Ressurezione

Riuscito debutto della discussa Ilaria Lanzino al Festival di Caracalla. Senza le annunciate "provocazioni"
Handel
La Resurrezione
direttore George Petrou
regia Ilaria Lanzino
basilica di Massenzio

ROMA – “In questa Resurrezione in forma scenica, racconto la storia di una famiglia contemporanea in lutto per la perdita improvvisa di un figlio”. Cosa c’è di più tragico della rappresentazione di una madre che perde il suo bambino? Ilaria Lanzino va al cuore di una vicenda eterna toccandone le corde più scoperte e umane. Molto riuscito il debutto italiano dell’ennesimo cervello in fuga: giovanissima, pisana, con esperienze già consolidate e premiate nei grandi teatri europei, tedeschi in particolare. Non senza forzature, come “Luca” di Lammermoor, Lucia reinventata al maschile.

Niente di tutto questo invece nel Festival di Caracalla dell’anno giubilare che il sovrintendente Francesco Giambrone ha affidato, per la direzione artistica, a Damiano Michieletto: mentre si rappresenta Resurrezione, si provano la sua West Side Story (con Michele Mariotti), Don Giovanni (con la regia di Vasilij Barkhatov, prossimo al Sant’Ambrogio scaligero) e Traviata (spettacolo di Slava Daubnerova, direzione di Francesco Lanzillotta). “Firme” d’avanguardia registica che fanno di Caracalla il festival “to be”. Qui però siamo alla Basilica di Massenzio, recuperata per Handel e Mozart. L’Angelo (Sara Blanch) annuncia la morte del Figlio come una rockstar e bullizza un Lucifero (Giorgio Caoduro), seduttrice in abito da sera. Maddalena (Anna Maria Labin) e Giovanni (Charles Workman) sono genitori inconsolabili, sorvegliati dalla dolente “nonna” Cleofe (Teresa Iervolino). Con voci femminili in grande spolvero.

La “resurrezione” si compie in maniera diversa: per un padre significa rifarsi una vita, generare un altro figlio; per la madre togliersela, ricongiungersi col suicidio all’anima del piccolo scomparso. E questa trama s’intreccia benissimo con l’handeliana mappatura degli affetti. Che l’Orchestra nazionale barocca dei Conservatori diretta da George Petrou restituisce con giusta e crepitante dizione: peccato che l’amplificazione – inevitabile – ne appiattisca i livelli, gli imprescindibili pieni e vuoti della scrittura del “concerto” di matrice corelliana.

Andrea Estero

 

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313 Giugno 2025
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