Gluck Orphée et Euridice

interpreti J.F. Gatell, A. Prohaska, S. Blanch
direttore Daniele Gatti
orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
regia Pierre Audi
dvd Dynamic 38073

Un po’ melanconico, il rivedere in dvd questo spettacolo di Audi a così poco tempo dalla sua prematura scomparsa. Spettacolo molto interessante. Che ha provato, inscenando quest’opera sostanzialmente priva di trama, a costruirne una per così dire interiore. Nella scena sormontata da una superficie riflettente, due riquadri semitrasparenti si muovono di continuo, scomponendo e filtrando in controluce le immagini intere o parziali dei ballerini che riempiono il palcoscenico (il coro, invisibile, sta in buca): all’inizio, Orphée rincorre allucinato la biancovestita Amour, scorto da Euridice che s’accascia. Amour, dunque, sorta di Ideale artistico che soggioga Orphée e da cui Euridice si sente esclusa, preferendo rifugiarsi in “Cet asile aimable et tranquille”, dove lui va a riprenderla cercando di lottare con le sue visioni allucinatorie; lei però resiste, e alla fine Orphée resta solo, gli occhi sbarrati, al termine dell’ultima pantomima coreutica in cui si sottolinea in modo originale che Amour, “chaine agréable est préférable a la liberté”. Finale poco lieto e molto aperto, senz’altro parecchio intrigante. Arno Schuitemaker plasma coreografie avvolgenti in cui i corpi neri sono come flussi di pensieri che si compongono e scompongono attorno a un Orphée dai capelli grigi, mentre l’onnipresente Amour sembra regolare questa giostra continua: che si pone in totale sintonia con la direzione. Gatti sceglie la versione parigina, ancora più intrisa di danza della viennese, e le infonde una levità trasparente, continuamente vibratile di tensione, solcata da rombi d’ottoni davvero infernali, che sulla marmorea classicità della scrittura fanno balenare luci romantiche che rendono tangibili i motivi per cui Berlioz tanto amava questa partitura da manometterla con pesanti intenti romanticizzanti, e non solo come omaggio alla Viardot: direzione scabra, marmorea ma lucidissima, lontana anni luce da certo esasperato barocchismo dal sapore jazzistico (ma nel sublime assolo dei Campi Elisi – che sono quelli privati di Orphée – c’è il flauto traverso, suonato benissimo da Mattia Petrilli) che ha preso piede da un po’, e magari ha stufato anche.
Note un po’ meno liete dal cast. Juan Francisco Gatell, alle prese con l’alta tessitura da hautecontre che prevede passaggi assai scabrosi in generale e in ispecie nell’aria “L’espoir renait”, ha tanti e direi troppi suoni fissi, quantunque resi sempre espressivi da un gioco d’accenti sofisticatissimo, in linea con la bravura eccezionale dell’attore. Non bene Anna Prohaska, ingolata, fissa, sempre sfocata: laddove Sara Blanch è – tanto scenicamente quanto vocalmente – un Amour strepitoso. Il coro di Lorenzo Fratini si copre di gloria, e le riprese di Tiziano Mancini sono magnifiche.
Elvio Giudici


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318 Novembre 2025
Classic Voice