Archi Serenissimi

Il Quartetto di Venezia compie 40 anni. Festeggiato al Malibran

Era come in quei film dove un bambino va in una soffitta, apre un baule e trova tanti bei giocattoli, libri, disegni e resta a bocca aperta. Una scoperta dietro l’altra che ci ha fatto capire che quella era la strada che dovevamo percorrere. Ora ci troviamo qui, dopo quarant’anni, con un importante bagaglio di esperienze musicali davvero. E non siamo stanchi, proprio no».
Il Quartetto di Venezia. Andrea Vio, Alberto Battiston, Mario Paladin, Angelo Zanin, così da sinistra a destra: violini, viola, violoncello. In quattro decimi di secolo, un solo cambiamento: da dieci anni Paladin ha sostituito alla viola Luca Morassutti.
Veneziani nel nome d’arte, nei cognomi, nella parlata, in certe allegrissime tavolate dopo i concerti, nella persistenza dell’amore per la città, nella proiezione mitteleuropea del loro fare musica assieme. Solido, omogeneo, nutrito di tecnica, spessore ed eleganza.
Il 21 ottobre, al Teatro Malibran, festa di compleanno per iniziativa del Teatro La Fenice e di Musikamera. Poi i concerti al Teatro Toniolo per gli Amici della Musica di Mestre e la residenza alla Fondazione Cini con i concerti a Lo Squero, la recente e magnifica sala per la musica da camera creata all’Isola di San Giorgio.
La prima uscita in pubblico è del 1981, un saggio al Benedetto Marcello, il loro Conservatorio. Subito dopo, decidono di frequentare le lezioni di Sandor Vegh ad Assisi. Ne escono entusiasti e determinati, pronti a iniziare un’attività concertistica che li ha portati a suonare ovunque. Andrea Vio, primo violino, è il loro portavoce.
All’inizio, la decisione di fare quartetto è stata difficile o veloce come una folgorazione?
«Facilissima. Una comune passione che ci ha coinvolto come in un turbine ancora studenti di conservatorio e ha voluto che quasi naturalmente vivessimo questa vita da quartettisti, senza mai domandarci perché: è nata spontaneamente e così è proseguita».
A chi dovete dire grazie, come maestro?
«Sandor Vegh ha influito in modo determinante sulla nostra formazione. Ci sentivamo molto vicini al modo di pensare e interpretare la musica di questo leader di uno storico quartetto. Le sue idee partivano sempre da un punto di riferimento tecnico, in particolare l’arco, messo al servizio della trasmissione della musica. Un altro aspetto molto curato da Vegh era il tipo di vibrato, il più vario possibile in rapporto al senso della frase. Un altissimo artigianato per raggiungere una levatura artistica assoluta. Il nostro violoncellista, Angelo Zanin, ha voluto seguire anche le lezioni di Paul Szabo, violoncello del Quartetto Vegh. Come conseguenza naturale siamo andati a lezione da lui anche come quartetto. Szabo è stato importante per il modo con cui intendeva l’articolazione dell’arcata, tecnicamente e musicalmente. Non dimenticheremo mai le esecuzioni con lui del quintetto con due violoncelli di Schubert: memorabile ogni concerto».
Che cosa ha significato lo studio con Piero Farulli ai corsi della Chigiana?
«La spinta che il Maestro ci ha dato nell’affrontare le opere più importanti di Beethoven è stata decisiva. Una delle sue ambizioni più grandi era far conoscere a tutti questi lavori, perché diventassero popolari. Faceva suonare gli allievi in posti impensabili: abbiamo suonato anche in una specie di grotta, per sedersi la gente si portava sedie e sgabelli da casa. Non suonavamo brani “facili” per persone non abituate a questo tipo di musica, ma gli ultimi quartetti. Farulli diceva: “Devono ascoltare queste opere così profonde, per conoscere quello che non hanno mai avuto modo di conoscere. Ci sarà chi verrà colpito ed emozionato, chi più chi meno, ma bisogna diffondere la cultura musicale, anche quella più impegnativa”. Anche Aldo Pais, a lungo violoncellista del Quartetto del Vittoriale, è stato importante per noi. Ci ha sollecitato a studiare i Quartetti di Boccherini, di cui stava curando la revisione e la pubblicazione e ci ha introdotto al repertorio italiano per quartetto, con il quale aveva avuto un’assidua frequentazione».
Nell’amplissima discografia del Quartetto di Venezia, un cofanetto di dieci cd è dedicato ai quartetti italiani, dal Settecento al Duemila. Quale il momento più entusiasmante e quale il più difficile?
«Personalmente credo che i momenti più belli siano stati i primissimi anni, quando scoprivamo i quartetti del grande repertorio e vivevamo dal di dentro l’emozione di una sonorità che altrimenti, col solo ascolto, non avremmo potuto percepire. Emozioni così forti le provi solamente la prima volta. Certamente anche momenti difficili. Pochi, significativi e ci hanno temprato».
Avete eseguito quartetti di Petrassi, Maderna, Sciarrino, Vacchi, Sollima. E avete una predilezione per Curt Cacioppo, settantenne compositore statunitense. Come è nato questo rapporto?
«L’abbiamo conosciuto in occasione di un concerto di sue musiche a Venezia, grazie al musicologo e amico Harvey Sachs. La nostra ultima produzione discografica che comprende il quartetto Divertimenti in Italia e il quintetto con pianoforte Women at the Cross di Cacioppo, ha ottenuto la nomination ai Grammy Award».
E’ difficile vivere di quartetto in Italia?
«Ultimamente c’è stata una esplosione di nuovi giovani quartetti, grazie anche a iniziative che danno loro la possibilità di suonare in sedi private di grande fascino. Ovviamente ci sarà una selezione, ma esistono già delle realtà con ottime prospettive. Il problema in Italia riguarda quello che è successo negli ultimi trent’anni: la progressiva diminuzione dei fondi stanziati che ha provocato la chiusura di numerose stagioni concertistiche, soprattutto le più piccole. I giovani musicisti usciti dalle nostre scuole – nonostante i Conservatori, dopo la riforma, diano ottimi risultati – trovano pochi posti di lavoro e sono costretti ad emigrare. La questione è politica: la cultura e la musica in particolare vengono considerate di secondaria importanza quando invece potrebbero essere fondamentali, anche per l’economia italiana. Sarebbe una svolta in positivo se i privati venissero stimolati ad investire nella musica».

Sandro Cappelletto

 

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