II puntata: Il “Toscanini” inedito di Sachs

Il direttore fu interventista (in cambio ricevette sterco di cavallo). Smentita la rivalità con Mahler

La nuova biografia di Sachs smentisce definitivamente la tesi, sostenuta da alcuni biografi mahleriani in base alle inattendibili testimonianze di Alma, moglie del compositore, secondo cui le prepotenze di Toscanini spinsero Mahler a lasciare il Metropolitan. Bastava consultare la cronologia del teatro per verificare che nel 1908, quando arrivò a New York, Toscanini non diresse “Tristano” “rubandolo” al collega, come scritto da più parti. Sachs aggiunge particolari inediti e racconta che, nelle registrazioni raccolte a sua insaputa negli anni della vecchiaia, Toscanini spiegò di essere andato al Met proprio perché c’era Mahler, che non apprezzava come compositore ma che stimava molto come direttore. I due si incontrarono quell’estate  per definire il rispettivo ambito nella programmazione del teatro: Toscanini non voleva limitarsi al repertorio italiano ma intendeva dirigere anche titoli wagneriani, perciò chiese a Mahler se a sua volta fosse interessato a dirigere opere del repertorio italiano o francese. Mahler gli rispose che era già troppo occupato. Toscanini aveva comunque un buon ricordo del collega, anche se lo trovò stanco e affaticato (Mahler morì poco dopo a neanche 51 anni). I due condividevano un certo disprezzo per il pubblico newyorkese, abituato a presentarsi in teatro in ritardo: perciò, ricordava Toscanini, Mahler aveva deciso di eseguire l’ouverture della “Sposa venduta” di Smetana tra il primo e secondo atto, ottenendo sempre un grande successo. Le critiche di Toscanini al Mahler direttore riguardavano i suoi interventi sull’orchestrazione (per esempio in Beethoven). Quanto all’opinione di Mahler su Toscanini, l’apprezzamento era ricambiato, come testimoniato da Walter, Klemperer e Korngold, smentendo ancora una volta la pettegola Alma. A proposito della quale, anni dopo Toscanini aiutò concretamente il suo nuovo marito Franz Werfel, che con lei si era appena rifugiato in America, acquistando un centinaio di copie del suo libro su Verdi per regalarle ai musicisti della NBC.

I rapporti con il fascismo: dalla precoce adesione del 1919 alla guerra aperta
Sachs chiarisce le circostanze che portarono Toscanini ad avvicinarsi ai Fasci di Combattimento nel 1919. Secondo lo storico Denis Mack Smith, alla fine della guerra, Mussolini s’era immaginato di essere il Lenin d’Italia, sfidando i socialisti con un programma che prevedeva l’occupazione delle fabbriche, la confisca dei beni ecclesiastici, un’assemblea costituente per instaurare la repubblica, un’imposta dell’80% sui profitti di guerra. In quella fase Mussolini si rivolgeva soprattutto agli ex combattenti e agli ex interventisti. Toscanini era figlio di un garibaldino, cresciuto con gli ideali del Risorgimento e dell’unità d’Italia: nazionalista ma non imperialista, contrario perciò all’invasione della Libia. Durante la guerra era stato fieramente interventista (litigando furiosamente con Puccini che era filotedesco) e aveva diretto le bande militari al fronte fino a Caporetto, guadagnandosi anche una medaglia.  Probabilmente, l’impronta nazionalista, anticlericale e socialisteggiante di questo nuovo soggetto politico lo aveva convinto che quella poteva essere la soluzione ideale per risollevare l’Italia del dopoguerra. Anche per le insistenze di Marinetti, Toscanini si era ritrovato candidato alle elezioni di quell’anno. Non fu eletto e la sua avventura politica finì subito. Nemmeno Mussolini fu eletto, e dopo il fallimento di questo tentativo cominciò a spostarsi a destra, sostenendo gli interessi degli agrari e degli industriali. L’opposizione di Toscanini al fascismo violento che prese il potere nel 1922 è ampiamente documentata: subito dopo la marcia su Roma, si oppose alla richiesta di un gruppo di camicie nere che volevano fargli eseguire “Giovinezza”. Negli anni in cui fu a capo della Scala cercò di non compromettere il teatro con le proprie convinzioni politiche: per questo non firmò il manifesto di Croce. Ma il ritratto del Duce non fu mai esposto negli uffici della Scala, e alla prima di “Turandot” fu Mussolini a dover fare un passo indietro, rinunciando a essere presente, dopo la minaccia di Toscanini di andarsene se fosse stata imposta l’esecuzione dell’inno fascista. Nel dopoguerra, quando tornò in Italia dopo l’esilio americano, Toscanini votò per il partito socialdemocratico di Saragat.

Dopo il grande concerto dell’Arena gli arrivò un pacco con sterco di cavallo
La ricerca della perfezione valeva sempre e per ogni genere di musica: anche quando si divertiva a suonare al pianoforte per i nipotini il motivo di “Biancaneve e i sette nani”, dal film di Walt Disney. Ma poi per Toscanini c’era un codice etico da rispettare. A Busseto per commemorare Verdi, a Bayreuth per celebrare Wagner, in Palestina per la nascita della nuova orchestra, ovunque la musica avesse un significato particolare, non volle alcun compenso per le sue prestazioni. Nel 1913, quando la Scala ricordò il centenario verdiano, Leopoldo Mugnone accettò di dirigere un’opera purché gli fosse riconosciuto un compenso superiore di 10 centesimi a quello di Toscanini. Quando si presentò a riscuotere, ebbe la sorpresa di vedersi pagato con 10 centesimi: la differenza con il cachet di Toscanini, che aveva diretto gratuitamente. Toscanini si divertiva a rievocare l’episodio e aggiungeva che Mugnone poi fu pagato normalmente. Il codice morale di Toscanini prevedeva anche che il direttore non avesse diritto di chiedere biglietti omaggio: alla Scala pagava come chiunque altro il costo di un palco per la propria famiglia e così ancora, molti anni dopo, alla Carnegie Hall per le ultime stagioni della NBC.  Nel 1915 spese tutte le sue energie per organizzare un grande concerto patriottico all’arena con un’orchestra di 350 esecutori e millecinquecento coristi per raccogliere fondi. Il successo fu clamoroso: 40 mila persone per un incasso di 70 mila lire. Ma non tutti approvarono il suo interventismo: l’indomani, a casa Toscanini, fu recapitato al maestro un pacco dono contenente sterco di cavallo.

Pazzo per le donne: a 70 anni ancora si destreggiava fra quattro amanti
Questo capitolo della vita toscaniniana è stato ampiamente tratteggiato, ma chi è interessato all’argomento potrà trovare nuove informazioni e aggiornare il catalogo delle conquiste del Maestro. Toscanini era convinto che il prolungamento della vita sessuale avrebbe favorito anche quello dell’attività artistica. Raramente si tirò indietro di fronte alla possibilità di una nuova avventura. Sachs racconta anche episodi divertenti o curiosi: come quello del ricevimento per il 70° compleanno, quando la moglie Carla fece in modo di fargli trovare accanto, sedute al suo tavolo di festeggiato, alcune antiche fiamme palesemente invecchiate. Ma ancora negli stessi anni, a New York, lui era in grado di destreggiarsi fra quattro amanti contemporaneamente; una di queste, Eleonora von Mendelssohn, era ossessionata al punto da procurarsi una chiave della casa di Toscanini e introdursi in piena notte nella stanza dove il maestro dormiva per guardarlo di nascosto. Nella opportunistica convinzione che l’uomo dovesse avere una sola famiglia ma tutte le avventure  possibili, Toscanini è sempre stato  insincero con la moglie e con le amanti. Carla minacciò più volte di lasciarlo. Lo fece anche quando lui aveva 80 anni e passava troppo tempo con il soprano Herva Nelli: preparò le valige e andò da un’amica.  Toscanini la raggiunse, le chiese scusa e lei tornò a casa.

I numeri del mito: nel 1952 a Londra, 60.000 richieste per 6.500 posti
Difficile per noi oggi capire la portata del mito toscaniniano già negli anni 20 e 30 del Novecento, prima ancora della larga promozione americana attraverso radio, dischi e televisione. Le collezioni dei giornali testimoniano delle reazioni più che entusiastiche alle tournée del 1929 con la Scala e del 1930 con la New York Philharmonic. Sachs ci aiuta a riflettere con qualche dato: a Salisburgo, dopo l’arrivo di Toscanini, la copertura dei posti passò dal 53% all’89%. Tutte le recite, opere o concerti, con Toscanini erano esaurite. A Lucerna, quando inaugurò il festival con un concerto nella villa di Tribschen, per non disturbare la musica furono fermati sul lago i vaporetti a motore, bloccato il traffico nelle vicinanze, spente le sirene delle fabbriche, messe a tacere le campane delle chiese e anche i campanacci delle mucche al pascolo. Quando nel 1952 Toscanini tornò a Londra per dirigere il ciclo brahmsiano con la Philharmonia ci furono 60.000 richieste per 6.500 biglietti disponibili; e per conquistare i 295 posti in piedi, centinaia di persone fecero tre giorni di coda. Oggi ci restano una manciata di video e tante registrazioni. Alcune delle quali, come scrive Sachs, sono tuttora di una bellezza incomparabile. Ma ci restituiscono la testimonianza di un Toscanini ultrasettantenne. Massimo Mila e  Gianandrea Gavazzeni, fra gli ultimi testimoni della sua migliore stagione, sostenevano che solo chi aveva avuto la fortuna di averlo sentito in quel primo trentennio del Novecento poteva capire veramente la grandezza di Toscanini.
(2 – fine)

Mauro Balestrazzi

 

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