Britten – War Requiem

interpreti I. Bostridge, T. Hampson, A. Netrebko
direttore Antonio Pappano
orchestra Accademia di Santa Cecilia
cd Warner 6154482
prezzo 17,60

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A differenza di molte altre istituzioni musicali nostrane, Santa Cecilia non ha sacrificato il centenario della nascita di Britten al sacro (e ben più inutile, a conti fatti) bicentenario Verdi-Wagner: programmando, al pari di quasi tutte le maggiori società concertistiche europee, uno dei punti fermi della musica novecentesca quale indubbiamente il War Requiem è, e che portato anche in tournée al festival di Salisburgo – dove è stato ripreso dalla televisione; s’ipotizza prossimo dvd – ha rappresentato l’Italia come meglio sarebbe arduo sperare. Magnifica esecuzione, difatti, questa realizzata dal vivo il giugno scorso a Roma.
L’asse espressivo dell’opera, costituito dal contrasto tra la rocciosa liturgia della Messa latina cantata da coro e soprano, e il nervoso virtuosismo strumentale in cui s’ambientano le poesie di Owen affidate a tenore e baritono, Pappano lo rinserra in una struttura narrativa scopertamente, stupendamente teatrale: che all’aspra, ipertrofica drammaticità di molte direzioni recenti anche celebri (Rattle a Berlino, ad esempio, o Jansons a Monaco) preferisce portare in primo piano quell’acre ironia di un umanesimo assurdo negatore di se stesso, che senza dubbio permea quasi tutti i versi di Owen. Raramente, per dirne solo una, è emerso così bene il vero significato che Britten affida alla scrittura arcaicizzante che descrive gli interventi angelici nella “Parabola del Vecchio e del Giovane”. Mai bellurie autoreferenziali, bensì sempre intrise di significato espressivo, sono inoltre i frequenti ricorsi a sonorità riferibili al gamelan balinese, che della musica di Britten è tra i maggiori segni distintivi. Le frante accelerazioni ritmiche delle percussioni all’avvio del Sanctus, ad esempio; l’eterofonia che si stabilisce tra voci e ottoni nei due Hosanna; la scrittura pentatonica in cui si spegne il sublime “Let us sleep now”; i molti interventi delle campane tubolari: tutti momenti coi quali Pappano fa scintillare la variegatissima tavolozza cromatica britteniana. E infine, come accompagna le voci, siano esse quelle del superbo coro di Ciro Visco o dei tre solisti! Questa è forse l’unica partitura in cui la voce esile e gessosa di Ian Bostridge non solo non mi dà fastidio, ma la trovo particolarmente adatta a liberare tutte le potenzialità testuali in virtù dell’indubbia intelligenza con cui sa cesellare le parole della sua lingua. Thomas Hampson è del pari eccellente, il suo timbro brunito e caldo fornendo anzi un ideale contrasto con quello algido ma mobilissimo di Bostridge. E Anna Netrebko innalza sui marosi corali e strumentali una voce fattasi ampia, potente, sicurissima (il do acuto del “Libera me” è monumentale) senza nulla ma proprio nulla perdere di quella sua spontanea, meravigliosa comunicativa.
Elvio Giudici

 

 

 

 


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299 Aprile 2024
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