Mozart – Idomeneo

Mozart - Idomeneo

[interpreti] R. Croft, B. Fink, S. Im, A. Pendatchanska, K.Tarver 
[direttore] René Jacobs
[orchestra] Freiburger Barockorchester
[cd e dvd] 3 e 1 Harmonia Mundi

Uno dei dischi più rivelatori del decennio fu La clemenza di Tito incisa da Jacobs nel 2005: piazza pulita di falsi luoghi comuni, convenzioni tanto radicate quanto prive di autentico riscontro, ed ennesima riprova di quanto gigantesca sia la statura di Mozart non solo come musicista ma come uomo di teatro, al massimo livello anche in un’opera accreditata invece al suo minimo. Squadra che vince non si cambia, verrebbe fatto di dire: stessa orchestra, stesso direttore, stesso terzetto femminile anche per Idomeneo. E stessa riuscita: per le stesse ragioni.
Se strepitosi risultarono nel Tito i recitativi che di Mozart non sono,  non è difficile immaginare cosa sono questi, che di Mozart sono frutto tra i maggiori: recitativi che, in omaggio a Monsieur de La Palisse peraltro in tal caso ben poco omaggiato da una tradizione esecutiva abbastanza sciagurata, sono recitati. E recitati da padreterni. Gli anglosassoni discettano ancora oggi, nel repertorio settecentesco, sul problema delle appoggiature (suddivisione di una nota in due di valore pari alla metà, la prima nello spazio o riga subito superiore alla seconda): quando le fanno, l’esecuzione si muta subito in una sorta di montagne russe per asmatici, che di tanto fa ridere un italiano in quanto la cosiddetta appoggiatura altro non è che giusta articolazione della parola. Con relativa giusta distribuzione al suo interno del peso sonoro a seconda dei fonemi e loro relazioni reciproche che la compongono (ivi compresa corretta apertura e chiusura delle vocali che, nonostante il dominio televisivo del romanesco l’abbia fatto disimparare, non sono cinque come si suol ripetere bensì sette): in altre parole, la giusta dizione come base essenziale – ancorché non sufficiente – d’un giusto accento.
A reggere ed enfatizzare tutto questo, Jacobs provvede ancora una volta con un portentoso impiego del continuo. Modulazioni, arpeggi, variazioni di stile improvvisatorio si rimpallano tra violoncello e fortepiano, ciascuno sfruttando a fondo le proprie caratteristiche: e terremotando la placida declamazione aulica d’una pigra (soprattutto perché ripetitiva) tradizione verso un discorso teatrale che proprio nell’estrema diversificazione espressiva trova la propria unitarietà stilistica e drammaturgica. Cui apporta sostegno decisivo l’assoluta integralità basata sulla prima stesura testuale: decisione che, per fare l’esempio maggiore, rende questo terzo atto (con l’aria di Idamante come fulcro della scena del sacrificio, cui il testo integrale assegnato alla Voce dona – con simile musica! ma come si poteva o ancora si può  amputarla? – l’altrimenti incomprensibile significato) il più teatralmente e quindi musicalmente coerente mai ascoltato. Dire adesso che l’esecuzione orchestrale è sensazionale, risulta pleonastico: dietro di essa sta uno studio che l’articolo di Jacobs stampato nel fascicolo d’accompagnamento autorizza a definire eccezionalmente circostanziato, e non c’è battuta che non si carichi di significato ma anche dell’emozione da esso generata.
Nel cast, la migliore vocalmente è Bernarda Fink, l’Idamante più completo ed espressivo che il disco abbia fin qui conosciuto. Brava l’Ilia di Sunhae Im, e se la voce di Alexandrina Pendatchanska è quella che è, al pari d’una tecnica alquanto eccentrica, l’artista riesce a buttare ogni scoria nel crogiolo d’un fraseggio portato al calor bianco, con tale inventiva in fatto di colori, accenti, inflessioni, da plasmare un ennesimo esempio di supremo teatro in discutibile musica. Richard Croft è un protagonista po’ leggerino, e la fitta coloratura di “Fuor del mar” non è proprio la sua tazza di tè (come non lo è l’articolazione italiana), ma il suo Idomeneo liricissimo, dolente, vinto fin dall’inizio, è personaggio comunque assai rilevante.

Elvio Giudici


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299 Aprile 2024
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