Prokofiev – Storia Di un vero uomo

interpreti  E. Kibkalo, G. Deomidova, G. Pankov, V. Petrov, M. Rechetine, A. Eizen
direttore Mark Ermler
coro e orchestra USSR State Academic Bol’soj Theatre
2 cd Melodija Mel CD 10 02353
prezzo 19,40

Storia-Di-un-vero-uomo

Vedi cosa capita a dover ingraziarsi il Grande Fratello: un compositore di onorate credenziali ridotto a impetrare benevolenza dalle sospettose sfere della politica con un imbarazzante passo all’indietro del proprio operato musicale per averne in cambio non lo sperato perdono ma solo diffusi mal di pancia e indifferenza. Dicesi in parole più esplicite della sorte dell’opera di Sergej Prokofiev Povest’o nastojascem celoveke (Storia di un vero uomo), che fu scritta nel 1948 quando l’autore aveva già da tempo patito l’ostilità delle autorità politiche staliniane per via della solita accusa di “formalismo” ossia di disobbedienza ai diktat grammaticali del Partito. La storia è quella di un aviatore, Aleksej, che perde ambedue le gambe durante la guerra e, nonostante la grave mutilazione, torna a volare salvando l’amico Andreij e ritrovando la donna amata; ma siffatta imbandigione di eroismi non ebbe riscontro teatrale in vita dell’autore e finì coll’aver ospitalità sulle scene del Bol’soj  addirittura nel 1960 e con diversi tagli. Non fu bastante l’autocritica insomma. E sarebbe bello, ma ingenuo, poter attribuire tale flop a un superiore fiuto dei censori, quasi costoro fossero stati realmente consci del parziale isterilimento della vena creativa di Prokofiev e non delusi dal suo programmato mea culpa. La verità è che la musica dell’opera nacque di suo stanca e scarsamente vitale. Poterne aver coscienza ora (s’ha da supporre per la prima volta in disco) pare insomma dovuto omaggio a un compositore del calibro di Prokofiev quantunque rimanga da riflettere su un fatto curioso: la musica raccoglie solo in parte l’ideologia epica del soggetto di Boris Polevoj e punta per paradosso non sul trionfalismo dell’Uomo Sovietico bensì quasi involontariamente sul suo opposto; e questo lo si deve accreditare allo spirito non del tutto domo di un autore non certo apparentabile agli accomodanti colleghi di percorso: esigui i pezzi di smaccata acquiescenza al patriottismo di regime,  circoscritti al dovuto omaggio al valore delle truppe russe nella battaglia di Stalingrado, larga invece la partecipazione emotiva della musica alla dolente commemorazione del loro sacrificio. Ivi riposa l’unico interesse di questo prodotto di ibrida manifattura: un tessuto di insistita valenza recitativa che  s’illumina qua e là, quasi freudiana nemesi della storia, di pagine orchestrali e corali di bel risalto, una per tutte l’iniziale coro ripreso poi nella scena conclusiva a memento dell’eroismo senza fanfare del popolo martoriato. La registrazione in studio dell’opera, risalente al 1961, esalta le qualità delle compagini del Bol’soj (e soprattutto del suo splendido comparto corale) ma trova convincente risposta anche nel nutrito manipolo di cantanti adibiti dal teatro russo alla realizzazione di questo Prokofiev sconosciuto. Mark Ermler, per allora ancor giovane, conduce voci, coro e orchestra lungo un tracciato di indiscussa perizia assecondando proprio le zone di musica vera della partitura; non frequentissime ma nemmeno indegne del Prokofiev maggiore. Si dice, ad esempio, delle pagine dedicate al commosso rapporto tra Aleksej e la fidanzata Olga mai presente in scena (gli episodi sono teatralmente in flashback), si dice ancora della morte del Commissario nell’ospedale in cui Aleksej ha subìto l’amputazione, in cui si riversa il ricordo che Prokofiev ebbe vivo della drammaturgia musorgskiana. Sarebbe vano enumerare l’intero cast vocale ma qualche eccezione va fatta: il baritono Evgenij Kikbalo, adeguato protagonista, il Commissario di Arthur Eizen,  la Olga di Grafira Deomidova.
Aldo Nicastro

 

 

 

 

 


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