Donizetti – Anna Bolena

Angela Meade riscopre la giusta prospettiva di un canto che non deve essere "regale"
nterpreti A.Meade, N.Ulivieri, S.Ganassi, J.Osborn, M.Comparato
direttore Sesto Quatrini
regia Alfonso Antoniozzi
teatro Carlo Felice

GENOVA – Ne è passata, di acqua sotto i ponti, dalla riscoperta che di Bolena fece il mondo musicale nel ‘57 e ‘58 col trio Gavazzeni-Callas-Visconti. E la tanta acqua ha di moltissimo accresciuto la consapevolezza filologico-stilistica di cosa quest’opera sia ma soprattutto non sia. Scritta per Giuditta Pasta. Grande primadonna, ma  “prima” soprattutto nei grandi ruoli di Bellini, creatori di quel romanticismo lunare che è poi l’unico apporto italiano a tale temperie artistica. Ma la lunga ombra callasiana, per giunta deformata dalle caratteristiche esteriori del suo essere artista (furori parossistici, scatti ferini, sciabolate cabalettistiche rabbiose: scordandosi regolarmente della lancinante malinconia espressa da una figura scenica che sembrava fluttuare in un mondo a parte), ha fatto sì che Anna entrasse nel “Trio Tudor” assimilandosi a Stuarda e Devereux: il che assolutamente non è. Queste due sono appannaggio della sublimemente scalmanata Giuseppina Ronzi De Begnis,  dedicataria di scritture forsennate, frante, contrastatissime: le quali poco o punto hanno da spartire con l’aura di struggente, lancinante melanconia (enfatizzata oltre tutto dal neoclassicismo crepuscolare degli splendidi versi di Romani) di cui gronda l’eloquio musicale e verbale di un’Anna che ci si immagina quindi giovanissima, che rimpiange e si strugge, che anche nell’estremo sacrificio comunica indifeso smarrimento. E dunque il suo essere Regina lo è priva di maiuscola, lei ha voluto esserlo senza sapere quanto ne sarebbe stata distrutta. Il suo canto – nella linea e soprattutto nel fraseggio – non ha da essere “grande grande grande” come pretenderebbero i fanatici della regalità ad ogni costo, sempre in fregola per il belcantismo più esacerbato: ce n’è tanto, in Anna, di belcanto, ma è quello immerso nell’iperuranio romantico belliniano dove melanconia e nostalgia ancor più mettono in risalto l’inanità di certi sporadici scatti di rivolta.
Tutto questo per dire quanto strepitosa sia Angela Meade. La bellezza timbrica è un must per scrittura siffatta, come lo sono purezza di linea, saldezza di legati anche lunghissimi, pianissimi trascoloranti ad altezze vertiginose, morbidezza d’una tavolozza cromatica tutta chiaroscuri e mezze tinte, nonché – là dove necessitano – lo schioccar di folgori al fulmicotone, come nella cabaletta conclusiva: un’Anna dallo stile e dal fraseggio superbi, determinante essendo al riguardo la splendida direzione di Quatrini, che appunto sulle caratteristiche d’una novella Pasta ha plasmato sonorità morbide, duttilissime, intrise diresti di quella “lacrima cocente” di cui si sostanzia un’Anna tanto sovranamente accompagnata, con agogiche volte sempre a valorizzare il canto facendo cantare non di meno l’orchestra.
Ma l’opera non è solo Anna, e qui non lo è stata. Se Anna è ruolo-Pasta, Percy è ruolo-Rubini con tutto quanto ne consegue in termini di tessitura stratosferica da emettere però con la massima dolcezza. Spesso tagliate, le due pestifere arie John Osborn le canta con fluidità, morbidezza, ricchezza di fraseggio tutte magnifiche. La classe di Sonia Ganassi non ha più bisogno di commenti: tecnica superba che consente eleganza e flessibilità dinamica a un fraseggio stilisticamente ed espressivamente magnifico. Nicola Ulivieri debutta Enrico, e la sua linea ampia, solida, dal bel colorito bruno, ne fa personaggio di forte rilievo. Marina Comparato è un ottimo Smeton, cui giustamente si restituisce la sua aria; bene pure il coro, quello femminile in ispecie.
L’antico spettacolo di Antoniozzi, con la sua scena fissa concepita per ambientare tutte e tre le opere Tudor, nella sua astratta asciuttezza fuori tempo (belli gli abiti di Gianluca Falaschi, moderni tranne che per quello d’epoca di Anna) e nella sua accessibile simbologia, è sempre molto gradevole e funzionale.
Elvio Giudici

 

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299 Aprile 2024
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