Festival MiTo

 

 "Temirkanov dirigeva anche Brahms, in Italia una rarità: e la sua Seconda è tremendamente bella, per palati fini"

MILANO – Sinfonica, da camera, opera, contemporanea. Jazz ed elettronica. C’è stato di tutto un po’ anche nell’ultimo MiTo. Basta non chiamarlo festival per goderselo fino in fondo. Nonostante la presenza di cicli più o meno piccoli (il Brahms pianistico, i suoni della Grande Guerra, il confronto Vacchi-Furrer) è infatti più che altro una festa: un mese all’anno dedicato alla musica forte. Una festa per il pubblico, come quella del cinema che questo mese a Roma farà votare il film più bello direttamente agli spettatori. Anche qui le giurie restano a casa. E allora diventa un piacere esserci sotto le navate di Santa Maria delle Grazie per (ri)sentire Anna Caterina Antonacci nella Didone di Purcell: indiscutibile artista, accompagnata dalle splendide Laura Polverelli e Yetzabel Arias Fernandez in un “format” di voci tuttofare, che dava sostanza anche ai ruoli secondari. L’Accademia degli Astrusi di Federico Ferri, e il magnifico coro Ars Cantica diretto da Marco Berrini, aggiungevano ciò che è imprescindibile: la pervasività del ritmo di danza a innervare ogni incipit e rivelare i debiti strettissimi col barocco francese. Diventa una gioia anche ritrovare Yuri Temirkanov e la San Pietroburgo (nominata orchestra in residence) in un’abbuffata da Schiaccianoci colma di colori ed eleganza. Per la verità Temirkanov dirigeva anche Brahms, in Italia una rarità: e la sua Seconda è tremendamente bella, per palati fini, costruita com’è su un impulso, un tactus costante con cui fraseggi e altre finezze d’orchestra devono venire a patti. Inesorabilmente. Il maestro lo aveva detto nell’esclusivo incontro pubblico: i tedeschi, a differenza dei russi, parlano alla razionalità di tutti prima che al cuore di ognuno. Tutto il contrario di quello che Ivan Fischer ha realizzato nella Terza e Quarta con una Budapest Festival Orchestra insolitamente “brutta” nel suono degli archi e disordinata nell’equilibrio tra le sezioni: giusto cantare Brahms, ma troppe “isole” e troppe attese uccidono la forma. Infine è pure una festa correre da Martha Argerich quando decide di mettere di nuovo sul leggìo il Primo Concerto di Ciaikovskij con i ragazzi delle favelas di Bahia. E non importa se a dirigerla c’è il remissivo e ondivago Ricardo Castro: a compensare con un surplus di passione ed energia ci pensa lei, meravigliosa ragazza di settantatré anni.

Andrea Estero


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298 Marzo 2024
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