Mozart – Idomeneo

All'Opera di Roma Mariotti fa un Mozart in "equilibrio". Il mostro? La guerra che imperversa ancora oggi
interpreti C.Workman, J.Prieto, R.Feola, M.Persson, A.Luciano
direttore Michele Mariotti
regia Robert Carsen
teatro dell’Opera

ROMA – Argomento ma soprattutto struttura musicale collocano senz’altro Idomeneo nel gran filone dell’opera seria che il Settecento eredita dal Barocco e Gluck “riforma” in un modo che Mozart farà suo a tal punto da potersi quasi definire Idomeneo la più bell’opera di Gluck. L’involucro formale è dunque un inno alla severa classicità che guarda dappresso al marmo della tragédie-lyrique francese: ma il soffio melodico che l’investe da cima a fondo proclama solo Mozart nell’intrico sapiente delle armonie, nel proliferare delle tonalità minori e dei passi contrappuntistici, nelle “rotture” che modulazioni dissonanti, cromatismi, impasti timbrici insoliti incidono su quel marmo con effetto espressivo era allora da choc e oggi va invece ricreato. Sicché il Mozart moderno (quello che da Harnoncourt è giunto fino a Currentzis, attuale Pontefice Massimo di tale imposto esecutivo) tende a evidenziare appunto tale terremoto interno, di esso facendone il motore espressivo. Ma Mozart è Mozart: come tutti i grandissimi, diverse possono – ovvero debbono – essere le strade attraverso cui esplicitare l’enorme contenuto del suo teatro.
Michele Mariotti, ripensando in toto il suo Idomeneo bolognese di nove anni fa, lavora anch’egli sulla timbrica, sull’armonia e in generale su tutta la struttura formale, puntando però a esaltarne non le rotture col passato bensì l’equilibrio delle strutture interne tra di loro e col Classicismo nel quale sono nate e dal quale si proiettano sul futuro. Dinamica pertanto sfrangiatissima ma suoni sempre morbidi, avvitati in continuo divenire lungo una tensione narrativa priva d’alcun allentamento: e la cui “tinta” dominante è una dolorosa, inquieta, austera pateticità che ha il respiro della grande tragedia classica.
In questo, la sintonia con lo spettacolo è assoluta. La scena unica e nuda di Carsen è una petrosa spiaggia grigia davanti a un mare di piombo il cui perenne movimento ondulatorio è sensibilissimo sismografo emotivo della vicenda così come la scandisce l’orchestra: una massa umana preme sulla recinzione che separa quella da questo, mettendo in immediata ancorché non enfatizzata relazione gli antichi prigionieri troiani coi rifugiati di oggi, entrambi reduci dall’aver solcato quella plumbea massa ondosa. Una regia scarna, asciuttissima ma mai statica nel continuo rapportarsi dei personaggi con gli altri e con se stessi. Il mostro? Mai altrettanto inquietante “cosa nostra”: la guerra, col suo strascico di morti, di città devastate che vediamo scorrere sullo schermo nel fondo, col buio rotto da vampe di fuoco, con le divise militari e i giubbotti di salvataggio, da cui tutti si liberano abbracciandosi in un finale di lancinante poesia, dove utopia e relativa flebile speranza fanno timidamente ma risolutamente capolino. È Mozart.
Charles Workman ha impersonato molte volte Idomeneo: stile, e autorità tanto vocale quanto scenica ne fanno ancora un protagonista ideale. Splendida Ilia è Rosa Feola: bel timbro, linea retta da ottima tecnica e musicalità ineccepibile, tavolozza accentale da grande artista. L’edizione scelta da Mariotti e Carsen è quella viennese, quindi con Idamante tenore (e dunque s’ascolta il bellissimo duetto “Spiegarti non poss’io” tra Ilia e Idamante, ma viene omesso il rondò con violino concertante “Non temer amato bene”, quello che Mozart rielaborerà sostituendo il pianoforte al violino e facendone la sua più bella aria da concerto): non debordante, la voce di Joel Prieto, ma stile e fraseggio la rendono duttile materiale che plasma un umanissimo personaggio. Un solo bemolle, in questa altrimenti perfetta serata di grande teatro musicale: l’Elettra di Miah Persson, fissa e stonata da paura, ogni acuto una rasoiata, legati sbrindellati, coloratura da asmatica cronica.
Elvio Giudici

 

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