BAYREUTH Wagner I Maestri cantori di Norimberga direttore Daniele Gatti regia Matthias Davids teatro Festispielhaus
Visitare i tre principali festival austro-tedeschi dedicati all’opera (Bayreuth, Salisburgo e Monaco) è un viaggio per mappare le attuali tendenze della regia d’opera, al di là dell’italianissima, e stucchevole, diatriba tra innovazione e tradizione, oltre le Alpi sconosciuta.
A Bayreuth c’è stato invece un gran rimescolamento di carte. Il Festival che per decenni ha rappresentato una sorta di avanguardia registica (al di là dei singoli esiti) tira il freno a mano. E mette ai Maestri cantori il vestito della commedia disimpegnata. I tedeschi ne hanno abbastanza di “concetti” registici e revisioni ideologiche applicate al teatro wagneriano? Può essere, d’altra parte si riarmano e votano l’AfD. Però questo spettacolo nel voler rivelare una nuova strada, o ripercorrerne una vecchia, finisce per fare entrambe le cose male. Ha belle idee scenografiche (la chiesetta da presepe posta in cima a una scalinata ripidissima nel primo atto, la Norimberga componibile con mattoncini Lego nel secondo) che però non sviluppano un racconto, e la trama gestuale si riduce a una comicità tutt’al più prevedibile.
Ma la regia cade soprattutto nel finale ambientato in una sorta di coloratissima festa di montagna bavarese, tutta costumi “rural kitsch” e fiere di Brezel appesi alle bancarelle, quando Walther rifiuta il titolo magistrale e scappa con Eva lasciando Hans e gli altri alla loro chiassosa sagra. Sull’apoteosi campeggia una “vacca che ride” gonfiabile (scene di Andrew D. Edwards), la “Wachkyrie” raffigurata sui veicoli che fornivano carne alle truppe francesi durante la Prima guerra mondiale, con intento derisorio e antigermanico: l’“arte tedesca” è sublime e può essere magari pericolosa (come in tanto “Regietheater”), ma non strapaesana con pernacchia: questo no. Peccato, perché la direzione di Daniele Gatti – che ritorna, unico italiano, nel golfo mistico – è invece di prima classe: trasparente, affettuosa, evita i toni enfatici e marziali e dipana gli intrecci contrappuntistici pensando a Schumann. Il Wagner di Gatti è una celebrazione della musica piena di calore e Humor. E fa cantare sulla parola non solo il Walther ben fraseggiato di Michael Spyres, per quanto non splendente quale il sole vocale che Stolzing dovrebbe essere, ma anche Hans Sachs – Georg Zeppenfeld, grandissimo artista e dicitore – e soprattutto Beckmesser, grazie anche alla bravura e “compostezza” vocale di Michael Nagy. Ma tutto il cast (in primis la Eva di Christina Nilsson, il David di Matthias Stier, il Pogner di Jongmin Park) e il coro del Festival regalano meraviglie per loro propri meriti e nelle mani di Gatti (fine I puntata – continua)
Andrea Estero
Su “Classic Voice” di settembre un reseconto critico completo delle produzioni più significative dei festival estivi. Scoprilo su www.classicvoice.com/riviste.html