Mozart – Le nozze di Figaro

[interpreti] E. Schrott, M. Persson, G. Finley, D. Röschmann, R. Shaham
[direttore] Antonio Pappano
[orchestra] Covent Garden
[regia] David McVicar
[regia video] Jonathan Haswell
[Formato] 16:9
[Sottotitoli] It., Ing., Fr., Ted., Sp.
[2 dvd] Opus Arte 0990

Straordinario spettacolo. McVicar dimostra come sia niente vero che una regia capace di rendere appieno non solo la chiarezza del racconto ma le sue implicazioni (in questo caso sentimentali prima di tutto, ma anche sociali, ma anche politiche) debba necessariamente spostare epoca, ambientazione, struttura narrativa. Si può fare, beninteso: lo spettacolo di Guth resta geniale anche se in apparenza ‘mancano’ un sacco di cose prescritte in didascalia, sostituite da metafore che appagano l’intelligenza e schiudono una valanga d’implicazioni tutte pertinenti e tutte teatralissimamente articolate tra loro. Si può dunque fare, e l’intellettuale (inteso come possessore d’un cervello collegato) esulta: ma non è indispensabile.

Qui l’ambientazione è quella classica, e la narrazione è più o meno come da didascalie, ma gesti, atteggiamenti, ritmo teatrale, sono da teatro di parola: e il rivoluzionario trattamento dei recitativi, che a partire da Strehler ha spazzato via l’orrida tradizione mozartiana della cipria austroinglese e relative mossette, boccucce a cuore, coccolezzi vari, viene portato alle estreme conseguenze. Sicché, nell’ambito d’una naturalezza a dir poco fenomenale, i reciproci rapporti dei personaggi si chiariscono e si svolgono con una logica, un’immediatezza espressiva, un’acutezza dai ben pochi confronti possibili. La scena è in pratica nuda, ma un abilissimo gioco di quinte fa avanzare, ritrarre e ruotare pareti così da costruire ambienti diversi ivi compreso uno dentro l’altro, come al prim’atto quando la stanza destinata a Figaro e Susanna (angusta, scura, con la relativa difficoltà di movimento tradotta in acuti significati teatrali) sta di fianco a un ampio corridoio con finestre, dove i servi passano e origliano, comandati a bacchetta da una governante e un maggiordomo arcigni e molto efficienti. Ecco allora la gerarchia sociale definirsi con nitidezza sorprendente grazie alla continua presenza di tali personaggi muti, svolgendo con molta più ricchezza di particolari l’idea di Jonathan Miller nel suo celebre allestimento che ha girato mezzo mondo: tale gerarchia condiziona pesantemente, come in quest’opera deve, la definizione dei singoli personaggi, che tuttavia vivono poi di vita propria, governata da passioni che sono costantemente in primo piano. Lo sfondo, in altre parole, c’è, si vede, capiamo quanto conti, ma è poi il sensuale, carnoso, esplosivo vitalismo supermacho del Figaro di Erwin Schrott che dilaga nella storia, sposandosi mirabilmente a quello più sfumato, pensoso, squisitamente femminile di Susanna. La vecchiaia piena di voglie di Bartolo e Marcellina, chi l’aveva vista mai così densa, febbrile, con quel fondo di rabbiosa melanconia che l’età sempre si porta dietro in materia di sesso, e resa dunque in fin dei conti simpatica? E il Basilio dello strepitoso (in scena; la voce è un ectoplasma, ma facciamo finta di non sentire) Philip Langridge, che pare gay e accarezza con occhiatine compiaciute le cosce di Cherubino, ma che scopriamo poi nella sua aria (fenomenale il suo rabbioso togliersi la parrucca tutta boccoli!) come sia una delle sue molte ‘pelli d’asino’ stese a proteggere la propria miseria materiale e morale dalle prevaricazioni dei potenti.

Impossibile dar conto dei mille particolari, che come ripeto seguono le didascalie ma dando loro strepitosa, ancora inedita complessità e pluralità di significati e ancor più di sensazioni emotive: ovvio che tutti recitino da padreterni, e fortunatamente il regista televisivo è formidabile nel valorizzare al massimo simili presenze sceniche (campi, controcampi, montaggio incrociato, scelta e taglio delle controscene). Il canto è invece variabile. Ottimo con Figaro e Susanna di Schrott e Persson, buono con la Röschmann, duretto con Finlay, sopportabile col Cherubino di Rinat Shaham e molto (troppo) discutibile nei ruoli di fianco: ma nell’assenza d’ogni vera e propria oscenità vocale, il livello teatrale di tutti, dal primo all’ultimo, è tale e talmente integrato, da coinvolgere ed entusiasmare ad ogni secondo.

Elvio Giudici


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298 Marzo 2024
Classic Voice