Puccini – Manon Lescaut

interpreti A. Nitescu, P. Denniston, R. De Candia, P. Montarsolo
direttore John Eliot Gardiner
orchestra London Philharmonic
regia Graham Vick
regia video Humphrey Burton
formato 4:3
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Warner 2564391-7
prezzo 17,80

manon-lescaut---puccini

In quell’anno, Vick era in piena “fase del cubo”: dopo il   scaligero, anche qui la scena si riassume in un grande cubo. Che fa da sfondo neutro al primíatto, con personaggi che vanno non si sa dove e vengono da chissà dove, in un profluvio di scenettine che, quantunque svolte benissimo e con limpida fluidità, frantumano in bozzetto quanto dovrebbe essere un soffio di gioventù – che non cíè proprio – da contrapporre ai vecchioni dellíatto seguente. Per giunta, aleggia sempre la fastidiosa sensazione che non si portino mai fino in fondo talune indicazioni. Per fare solo un esempio, cíè líimmancabile bimbetta che sgambetta per ogni dove, e Geronte le fa una carezza donandole una moneta negata invece a un mendicante: ma non si capisce bene se gli piacciano le giovani al punto di sconfinare nella pedofilia, oppure ci si voglia suggerire che, dopotutto, lui è un bonaccione. Il cubo è poi visto di taglio nel secondíatto, con effetto abbastanza suggestivo in alcuni momenti: unico oggetto, ovviamente, un immenso letto sovrastato da ancor più enorme specchiera inclinata. Attorno cui ruota líintera azione, con un paio di idee azzeccate (i vecchioni che vanno ad annusare le lenzuola, che anche Des Grieux solleverà con la mano, ma con ben altro sentimento) ma molte invece ripetitive o tirate per i capelli. Sempre cubo stortignaccolo al terzíatto: nella parete di sinistra síapre uníalta fessura, da cui scende una stretta passerella che ìfaî la nave. Nel quarto, il cubo è invece dritto, completamente vuoto salvo delle pietre artisticamente sparse qua e là.
Sia chiaro che un palcoscenico il più possibile sgombro è criterio che il teatro moderno non solo ha accettato ma chiede a gran voce, se non altro per ribadire la diversità del proprio linguaggio con quello cinematografico, fattosi più onnipotente e suggestivo che mai coi mezzi elettronici odierni. Bisogna però che tale benvenuta semplificazione sia indirizzata a una sempre maggiore definizione dei personaggi e dei reciproci loro rapporti, attorno a uníidea centrale che, se buona e opportunamente variata, riempirà líapparente vuoto creando tensione espressiva. Se invece líidea è un tantino ovvia, e per giunta la si sottolinea ogni due per tre con la matita rossa, síottiene lo stesso nulla registico dei Zeffirelli e la stessa futile decorazione dei PieríAlli, solo in formato mignon: e insomma, il rimpianto per la presenza di questo Vick in luogo del genio che ha invece montato líopera alla Fenice, è cocente.
L’orchestra di Gardiner è gessosa, tutta punte e spigoli aguzzi, priva díarticolazione interna, di suono povero e come impastato, senza vibrazioni di alcun tipo, né díeleganza, né frivole, né ironiche, meno che mai passionali.
Patrick Denniston è calamitoso: voce brutta, piccola, cortissima, strangolata in alto, arida e senza armonici al centro. Il fisico è gradevole, sa recitare, e quindi visivamente il personaggio cíè: ma appena apre bocca, ogni suggestione svanisce miseramente. Adina Nitescu invece di fisico sta così e così (grassottella, piccolina, con due o tre atteggiamenti mimici per quanto riguarda il viso e uno solo – braccia aperte – per quanto concerne la persona): ma la voce non è certo migliore di quella del tenore. De Candia canta e recita molto bene per quanto glielo consenta la regia, laddove non se ne può più di vedere e ascoltare Geronte trasformato in poveraccio affetto da demenza senile allíultimo stadio come lo è la voce di Montarsolo.
Elvio Giudici

 

 

 

 

 

 

 

 


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