Verdi – Luisa Miller

[interpreti] D. Takova, G. Sabbatini, D. Salerno, A. Vinogradov, U. Ferri, A. Kotchinian
[direttore] Maurizio Benini
[orchestra] La Fenice di Venezia
[regia] Arnaud Bernard
[regia video] Tiziano Mancini
[Formato] 16:9
[Sottotitoli] It., Ing., Fr., Ted., Sp.
[2 dvd] Naxos-Dynamic 110225

Dicotomia di peso notevole, tra scena e buca: questa sonnecchia, paga d’un generico lindore nella cui varechina espressiva ogni colore stinge e ogni ritmo si sfibra; quella procede sgombrando quasi del tutto il palcoscenico, su cui le scene si riducono a coloratissimi pannelli inclinati dove campeggia una o più fotografie stile neorealismo, tra i quali la recitazione si muove liberando tutta la violenza intrinseca a una situazione sociopolitica ingiusta. Ambientare quest’opera agli inizi del fascismo, con Walter che s’appoggia alle camicie nere e al loro federale Wurm onde rafforzare la propria situazione di possidente in una società contadina, dà luogo a momenti di strepitoso teatro, che mutua con grande intelligenza e sensibilità alcune immagini del Bertolucci di Novecento: la violenza legata a mutamenti forzosi dell’ordine sociale, soprattutto, si sposa alla musica verdiana con un’efficacia che avrebbe potuto essere ben maggiore con diversa bacchetta.

E magari anche canto un po’ migliore. Sabbatini mostra la tecnica di sempre ma le masse muscolari sembrano non supportarla più, esponendone tutti i meccanismi che girano però a vuoto per mancanza di materia prima: l’accento, benché sempre giusto, non basta più. Meglio la Takova, che regge le impegnative richieste sul fronte della coloratura al primo e terz’atto, accenta più con coscienzioso professionismo che con fantasia, bordeggia più d’uno strillo nel second’atto, ma un’idea di Luisa la comunica, grazie anche al fisico che ricalca i manifesti quasi cinematografici che campeggiano sulla scena. Damiano Salerno ha acuti duri e sfibrati, Alexander Vinogradov canta più con la doviziosa natura che con una tecnica sensata, e il Wurm di Arutjun Kotchinian, perfetto in scena nella sua proterva, agghiacciante volgarità, è ingolato, mugghiante, sgradevolissimo.

Elvio Giudici


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299 Aprile 2024
Classic Voice