Silvana Fantini – Una vita alla Scala

editore De Ferrari
pagine 234
euro 14,50

 

Franco Fantini è entrato alla Scala come violinista di fila nel 1942, all’età di 17 anni; nel 1954 ha vinto il concorso per il ruolo di spalla, che ha ricoperto poi fino alla fine degli anni 80. Nessuno come lui è stato partecipe del secolo di vita che l’orchestra festeggia proprio quest’anno. Una appartenenza che emerge anche dal titolo di questo libro, Una vita in Scala, con l’uso della preposizione “in” che è tipico degli scaligeri doc, comprendendo nel termine anche gli abbonati e i fedelissimi del teatro. L’affettuoso e complice ritratto che Silvana Fantini fa del padre racconta la storia di un musicista che al suo violino e al suo teatro si è votato con dedizione assoluta, anche sacrificando la propria vita privata: come quando una malaugurata coincidenza gli impedì di essere accanto alla moglie, nel momento della nascita della primogenita, perché nelle stesse ore si svolgeva l’estenuante concorso (vinto dopo un curioso “spareggio”) per il ruolo di violino di spalla dell’orchestra. Dallo scorrere di quel mezzo secolo passato sul primo leggio escono divertenti flash: il quasi ottantenne Toscanini che alla prima prova del concerto di riapertura sbaglia l’uscita sul palcoscenico e arriva in orchestra fra i tromboni, costretto a scendere gli alti scalini con pericolosi salti per arrivare al podio; Mitropoulos che si presenta salutando uno per uno i musicisti, mai visti prima, chiamandoli tutti per nome e cognome; Bernstein in tuta da ginnastica e con un asciugamano  al collo, come per una partita di tennis e non una prova d’orchestra; Carlos Kleiber che fa il tenore e dal podio canta l’intera parte di Otello al posto di Domingo… Fantini è stato un prezioso collaboratore per tutti i direttori che si sono alternati sul podio scaligero e un esempio di professionalità per i colleghi. Quando era alle prime armi, e non aveva i soldi per comprarsi lo smoking, il suo insegnante Enrico Polo, che era il cognato di Toscanini, gliene aveva regalato uno che era appartenuto al maestro. Può darsi che un po’ della proverbiale determinazione toscaniniana gli sia rimasta cucita addosso, come fa pensare la testimonianza di Riccardo Chailly nella prefazione: “sin da ragazzo, quando dirigo un’opera o un concerto ho l’abitudine di presentarmi in teatro molto prima dell’inizio della recita… mi viene in mente un’immagine fissata nella memoria: quella di trovare Fantini che, a golfo mistico o palcoscenico vuoto, ripassa tutti i passaggi più importanti”. Verrebbe da chiedersi: ci sono ancora, nelle orchestre di oggi, musicisti così?
Mauro Balestrazzi

 

 

 

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