Progetto Martha Argerich

La Argerich e Cecilia Bartoli , per la prima volta insieme, hanno distillato meraviglie
Musiche di Mozart 
e  Beethoven
solisti V. Frang, N. Braude, C. Bartoli, M. Argerich
direttore Diego Fasolis
orchestra della Svizzera italiana
coro della Radiotelevisione svizzera
auditorium Lac

Musiche di Dohnányi*
Schubert**, Rossini
Nowakowski°
solisti (L. Zilberstein, D. Schwarzberg, L. Hall, N. Romanoff, E. Dindo)*, (N. Goerner, J. Jacowicz, K. Budnik-Galazka, M. Zdunik, S. Rozlach)°, (N. Romanoff, A. Mogilevsky)**, C. Bartoli, M. Argerich
auditorium Lac

luganomusica-bartoli-argerich-118993.660x368LUGANO – Non sembra vero che il principale finanziatore del Progetto Argerich, l’istituto di credito ticinese Bsi, abbia decretato la fine del giovane e illustre festival. Stop, niente più risorse per una manifestazione che per quindici anni ha dato lustro alla Svizzera italiana. E questo, proprio quando con l’inaugurazione dello splendido Lac a Lugano c’è un contenitore artistico metropolitano che deve essere riempito con iniziative a vocazione internazionale. Ora si spera – ma per adesso bocche cucite – in soluzioni e liquidità alternative che possano salvarne spirito e programmazione. La formula “Martha and Friends” permette infatti quello che ad altri cartelloni non è consentito: disporre per un mese nella stessa sede di una eccellente schiera di cameristi pronti a imbastire programmi unici e fantasiosi, che nella normale routine concertistica – con il passaggio mordi e fuggi di questa o quella star – sarebbe impossibile immaginare. E questo potenziale è stato sfruttato, perfino con spregiudicatezza artistica, dalla instancabile curiosità di Martha, ma anche dalla cura di chi le stava dietro, il musicologo Carlo Piccardi. Per esempio. Nei due concerti che hanno visto la prima volta al festival di Cecilia Bartoli, due arie di Mozart (quella da concerto con pianoforte obbligato “Ch’io mi scordi di te” e l’altra dalla Clemenza di Tito, “Parto, parto”, introdotta dall’ouverture dell’opera), erano precedute dalla mozartiana Sinfonia concertante (solisti eccellenti Vilde Frang e Nathan Braude) e seguite da un dittico beethoveniano in cui, insieme a Meeresstille und glückliche Fahrt, campeggiava la Fantasia corale: e così come la Bartoli stupiva con un Tito ancora da manuale, sulla parola pronunciata, variata, scolpita nei legati e in quelle colorature perfino sussurrate, la Argerich ha entusiasmato con un Beethoven controllato ma affrontato d’istinto, rifinito ma non costruito. Davvero imprevedibile. A collegarle un’eccellente prestazione dell’Orchestra della Svizzera italiana e del Coro della Rsi, tenute in pugno dall’esuberante ma stilisticamente attenta e precisa direzione di Diego Fasolis.
Tirava un’aria da accademia vocal-strumentale di lusso anche nel secondo concerto, di vocazione più intima: incorniciato da due grandi e rari quintetti con pianoforte, aveva al centro le arie da camera di Rossini e i Lieder in italiano di Schubert: qui le due fuoriclasse di ugola e tastiera – eccezionalmente insieme – hanno distillato meraviglie. Argerich non ha fatto altro che il “suo”, ovvero la cameristica di alta classe, intessendo intorno alla voce una trama evanescente ma fremente, con irruzioni tenute sempre sottovoce. E la Bartoli ha compensato con accento, varietà di fraseggio, piglio d’interprete e camaleontiche doti di teatrante (nella irresistibile tarantella rossiniana “Già la luna in mezzo al mare” si accompagnava con un tamburello), quello che non passava attraverso la sola voce. Uno spettacolo di grande musica, di godimento puro e perfino intrattenimento, calato in un contesto progettuale e artistico unico, che non deve morire.
Andrea Estero


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