Wagner, Il Divieto d’amare

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interpreti T. Pursio, M Sheshaberidze, M. Adler, L. Easley, A. Shoeck
direttore     Oliver von Dohnanyi
regia Aron Stiehl (ripresa da Philipp M. Krenn)
teatro Verdi

 

TRIESTE – Non basta leggere le memorie di Wagner per farsi una ragione della presenza di Das Liebesverbot nel suo catalogo operistico: “irruenza sensuale costretta nelle maglie della frivolezza italo-francese”. C’è di più dietro quel “peccato di gioventù” bandito da Bayreuth dagli stessi Wagner e che invece meriterebbe di essere accolto, riconosciuto e studiato come avviene con gli juvenilia verdiani. Per il conio di un genere teatrale intermedio che elegge a stella polare la “comedy” shakesperiana (Misura per misura è la fonte del libretto) e la commedia mozartiana (il piano escogitato dalla Novizia di Palermo per liberare il fratello e la scena notturna del travestimento riportano dritti alle Nozze di Figaro) concedendosi svolte verso l’opera buffa da una parte e la tragedia borghese dall’altra. E per la qualità musicale d’eccezione: Wagner si traveste da Bellini, Donizetti e Auber, senza essere nessuno dei tre; ma nella “tenuta” d’invenzione e nell’energia creatrice protesa in avanti resta Wagner. A specchio con la scottante materia librettistica: l’ardore sensuale dei siciliani represso dal puritano vicario del re, e la loro gioiosa ribellione sono scanzonati solo in apparenza  (il compositore all’epoca leggeva libri “eretici” come l’Ardinghello di Heinse e la Junges Europa di Laube); e accendono quella musica fin troppo facile e scorrevole di una pervasiva eccitazione. Forse per questo la “komische Oper” del frontespizio è anche “grosse”: musicata (quasi) da cima a fondo, a differenza del Singspiel. Ma anche grande e ambiziosa. Addirittura  “politica”.

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Benissimo ha fatto dunque il Verdi di Trieste a riproporlo in seconda italiana (la “prima” al Massimo di Palermo nel 1991) per inaugurare la nuova stagione. Tra l’altro l’orchestra e il coro  del teatro dimostrano di essere perfettamente al loro agio con questo bilinguismo: a Oliver von Dohnányi non sfugge il “peso” della trama d’orchestra che fin dall’ouverture abbozza embrionali Leitmotive di pregnante eloquenza e che sostiene declamati e architetture vocali con presenze melodiche slanciate, piene di musica. E non difetta neanche il fraseggio accorto negli incantati assolo strumentali d’ordinanza melodrammatica. Ma nella più scapricciata punteggiatura comico-rossiniana manca un po’ di leggerezza e malia. Sul palcoscenico ci sono ottime voci di protagonisti: sorprendente quella di Lydia Easley, in grado di arrampicarsi sulle vette di una vocalità che alterna agli accenti cantabili robusti involi da Senta; e sensibile quella di Tuomas Pursio, baritono e reggente colto da Wagner in pieno travaglio emotivo. Nel nutrito cast si trovano anche due parti da tenore “francese”, Mark Adler (Luzio) e Mikheil Sheshaberidze (Claudio): quest’ultimo con bei centri e sovracuti impossibili.

 

Il Verdi ha proposto lo spettacolo proveniente dall’Opera di Lipsia (andato in scena anche a Bayreuth – ma fuori festival – in occasione del bicentenario wagneriano): peccato non averne prodotto uno proprio. Se l’impianto scenico di Jürgen Kriner chiarisce in maniera fin troppo schematica il dualismo ideale (la natura rigogliosa e primitiva dei siciliani, il cimiteriale e devotissimo mondo teutonico dei precetti e delle regole morali), la regia di Aron Stiehl (qui ripresa da Philipp Krenn) insiste troppo sul tono farsesco. E invece basta ascoltarle a occhi chiusi per rendersi conto che alcune situazioni nella loro comicità arguta e insinuante hanno bisogno di ben altro che balli, mossette e gag pecorecce, qui amplificate dai costumi primitivo-trash di Sven Bindseil. Per non parlare delle scene patetiche (da quella di prigione all’altra dei travagli amorosi dell’arcigno censore), decisamente allergiche alla trivialità che calza solo alle parti puramente comiche destinate al basso buffo Brighella (Reinhard Dorn).
Una “banalizzazione” che forse sarebbe piaciuta al Wagner in vena di autocensure, evidentemente seguito alla lettera dai suoi connazionali: ma che non coglie tono semiserio e ambizioni giovanili d’autore.
Andrea Estero


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