Rossini – La gazza ladra

[interpreti] M. Pertusi, A. Esposito, M. Cantarero, D. Korchak, M. Custer, P. Bordogna
[direttore] Lü Jia
[orchestra] Haydn di Bolzano
[regia] Damiano Michieletto
[Formato] 16:9
[Sottotitoli] It., Ing., Fr., Ted., Sp.
[2 dvd] Dynamic 33567

Di solito, occorre molta pazienza con quest’opera musicalmente splendida ma drammaturgicamente bizzarra (sinonimo di scema) come quasi sempre sono le semiserie, né carne né pesce per definizione. Ed ecco a cosa serve un regista di grandissimo talento: creare dal nulla una drammaturgia, del tutto in linea coi valori musicali che anzi ne vengono in tal modo esaltati assai. Via dunque cortile con relative cianfrusaglie arcadiche, gabbietta della gazza che poi bisognerebbe far volare e ci scompisciamo tutti, contadinelle covoni e panorami. All’inizio, una bambina gioca con dei tubi per costruzioni; s’addormenta; e sogna: la Sinfonia la vede volteggiare su un’altalena di lenzuola sospesa sopra il lettino, e tutta la vicenda diventa dunque il sogno d’una bambina, spesso solcato dalle nere strie dell’incubo, ambientata tra quegli stessi tubi fattisi giganteschi. Una bambina può bene immaginarsi nei panni d’una onnipresente ma pure invisibile piccola gazza, che ne combina di tutti i colori pentendosi quando è troppo tardi, prova a rimediare ma nessuno la vede, siamo tutti stati soli nel lungo cammino adolescenziale della comprensione di quanto ogni gesto abbia conseguenze. Solo una bambina può vedere il furto d’una forchetta quale colpa punibile con la morte; può far assumere, al babbo partito per la guerra, i contorni d’un eroe; l’autorità costituita, ovvero il Prefetto, può vederlo in principio sotto la luce grottesca del pettegolezzo domestico, ma passare subito dopo – con la logica dei bambini tanto simile a quella di certo melodramma – a guardarlo quale incubo dei peggiori. E se nel primo atto quei tubi diventano labirintica foresta dove s’incrociano i destini di tutti, nel secondo virano verso un opprimente non-luogo acquoreo capace d’inghiottire tutto e tutti: per inciso, spettacolo difficilissimo da riprendere, ma realizzato da Tiziano Mancini in modo tanto perfetto da porsi quale ideale alter ego di Michieletto. Forse il semiserio dell’opera vien troppo virato al serio: ma è perché tale percorso lo compie la musica, che da un’aia assolata dove risuonano canti e brindisi arriva a una prigione e sfiora un’esecuzione capitale dalle inequivocabili, sublimi tinte beethoveniane.

Spettacolo tanto magistrale, racchiude per fortuna esecuzione musicale altrettanto magistrale, per lo meno tra le voci (ma non è male, la direzione: un po’ isterica, qua e là, però ha bei colori, pulsione ritmica incisiva, accompagna il canto sostenendolo, non asfissiandolo): con due sommi capolavori nei personaggi del Podestà e di Fernando.

Nel primo, Michele Pertusi sgrana la coloratura forse più micidiale mai escogitata da Rossini con morbida, fluida, musicalissima esattezza, mai banalizzandola a mero esercizio di ginnastica vocale bensì dandole costante senso espressivo attraverso un fraseggio aperto in ventaglio di chiaroscuri straordinario, esaltato dal bruno, magnifico colore timbrico. Nel secondo, Alex Esposito si trova davanti a scrittura d’ampiezza di linea paraverdiana, infarcita però di aspre colorature di forza: come dire quanto di più arduo un interprete possa proporre alla propria ambizione. Lo risolve alla grande: timbro splendido, tecnica impeccabile nel produrre un canto tutto sul fiato, morbido ma anche incisivo, intonato ch’è una meraviglia (specie in tempi nei quali l’intonazione pare esser divenuta un optional) anche tra i gorghi più infernali in cui risucchia la coloratura rossiniana, dove non perde un colpo che uno e dove la costante scolpitura di dizione fa blocco con un fraseggio strepitoso al pari del suo stare in scena, sortendone personaggio indimenticabile. Mariola Cantarero ha voce luminosa, calda, bellissima: non teme né gli ispidi passaggi di coloratura del duetto con Ferrando (lei ed Esposito, due timbri che “si amano”, creano un autentico capolavoro) né certe frasi spianate dove se non appoggi la linea sul fiato rischi di affogare a metà, e l’espressività è di quelle che incantano. Benissimo Manuela Custer, che risolve il sempre spinoso personaggio en travesti con spirito, calore d’accento, precisione musicale e quella grinta scenica che se ce l’hai ce l’hai, impararla non si può. Ottimo Paolo Bordogna, voce sempre magnifica e interprete vivacissimo senza strafare. In simile carismatico consesso, Dimitri Korchak è anche più smunto di quanto non sia, e riesce un po’ difficile credere che un peperino come la Cantarero spasimi tanto per lui.

Elvio Giudici


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299 Aprile 2024
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