Giangiorgio Satragni Il Parsifal di Wagner. Testo, Musica, Teologia

editore Edt 
pagine 212
euro 26

 

“A nostro avviso il compositore schiude una dimensione di trascendenza, in quanto la tonalità scelta è assai distante rispetto al centro generatore del sistema armonico, do, perché do bemolle, col suo numero massimo di sette alterazioni, è posto al capo estremo del circolo delle quinte: è dunque il punto più lontano, la dimensione più remota che la musica possa offrire; nella metafora armonica è la trascendenza rispetto all’ancoraggio terreno” (pagine 111-112). Il saggio di Satragni si propone, appunto, di spiegare, musicalmente, vale a dire attraverso l’analisi musicale, i significati religiosi del Parsifal di Wagner. Credo anche io che questo sia l’unico metodo per capire davvero i significati di una musica. Di solito, se si tratta di teatro musicale, si esamina soprattutto il testo. E gli effetti musicali che ne coglierebbero il senso. Ma il teatro musicale, e soprattutto il dramma wagneriano, è costruito sull’interdipendenza di testo, musica e rappresentazione. Isolarne un solo aspetto preclude la comprensione dell’insieme. Wagner fonda la sua idea di linguaggio musicale come rappresentazione sonora non già di un concetto, bensì di un’azione. Armonia, timbro, forme musicali sono gli strumenti per rendere esplicita l’idea di questa azione. E come nella poesia esaminiamo le metafore per penetrare il linguaggio poetico, nel dramma musicale dobbiamo ravvisare le forme musicali per capire la loro funzione narrativa. Che il rito del Graal (in tedesco Gral) si realizzi attraverso la forma del Bar (un’intera scena dei Maestri Cantori è dedicata a questa forma poetica e musicale) e del mottetto non è una scelta d’imitazione liturgica, bensì una metafora drammaturgica: il rito, come la Messa, è la memoria e la ripetizione dell’Ultima Cena. Ma se l’apparato può far pensare alla Messa cattolica, il senso profondo del dramma è invece luterano. Solo la Grazia, non le opere, salvano l’uomo, e la fede nel sacrificio di Cristo è il segno di questa Grazia. Così come – e Kirkegaard lo spiega bene nel Concetto dell’angoscia e nella Malattia mortale (potrebbero essere ottimi commenti al Parsifal) – il peccato originale non è per Lutero, come per San Tommaso, un peccato d’orgoglio, ma di concupiscenza, ed è la concupiscenza il principium individuationis, l’atto che ci fa prendere coscienza di noi stessi: il bacio di Kundry. Ci sarebbe molto altro da dire su questo bellissimo saggio – forse talora un po’ prolisso, ma solo per volontà di precisione  -:  lo spazio ce lo nega. Il suo merito maggiore è arrivare al riconoscimento dei significati anche extramusicali, e perfino teologici dell’opera, solo attraverso una scrupolosa analisi della sua struttura musicale. Indispensabile, per chiunque ami il teatro di Wagner.
Dino Villatico

 

 

 

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