Se il Serraglio è uno yacht

Partono fischi e buu al pascià-gangster mozartiano

Se il Serraglio è uno yacht Si sa, i fischi fanno più rumore dei prevalenti battimani. E, soprattutto, ottengono maggiore eco mediatica. Nel Ratto dal serraglio del San Carlo, oggetto di contestazione è stata la regia di Damiano Michieletto, su scene di Paolo Fantin, costumi di Silvia Aymonino e luci di Alessandro Carletti. Il serraglio mozartiano è qui uno yacht imponente e luccicante, abitato dal pascià Selim in veste di gangster e consumatore di coca, dal suo gorilla Osmin, e da quattro troiette di turno. E Belmonte, amante ma anche pusher, manovra a mezzo di gommone. L’idea è intrigante, ma scivola su alcuni eccessi pretestuosi, quali ad esempio nel terzo atto la roulette russa cui è costretta Konstanze, o l’uccisione finale di Osmin per mano del pascià. Può darsi che gli spettatori scontenti criticassero l’assenza del messaggio di tolleranza e rispetto del diverso da parte della società turca che oggi si vuole leggere nella vicenda, e che di solito si attribuisce a un presunto illuminismo della drammaturgia mozartiana, per conto suo invece abbastanza lontana dalle ideologie… È vero anche che più di una volta si ha la sensazione di uno scollamento tra il divenire musicale e l’azione scenica. Ma, alla fine, il progetto della radicale dislocazione scenica si fa apprezzare nella sua forza provocatoria, con preghiera di limarne in futuro alcune esuberanze.
Decisamente positiva la resa musicale. La direzione di Jeffrey Tate conduce l’orchestra con fine calibratura, disegnando fraseggi, colori, sfumature pregevoli, specie nei passi più espressivi e negli insiemi vocali. Più che soddisfacente, di vocalità omogenea su un livello medio-alto la compagnia di canto, giovane come vogliono la vicenda e la passione amorosa che l’attraversa. Il Belmonte del tenore cinese Yi Jie Shi appare palpitante e intenso, così come sornione e appassionato riesce Wolfgang Ablinger-Sperrhacke nel ruolo di Pedrillo. E poi, difficile incontrare un’interpretazione di Osmin più incisiva e poliedrica di quella offerta da Kristinn Sigmundsson, mentre altrettanto efficace è emersa la figura di Blonde nel canto e nella recitazione di Valentina Farkas: pepata, spiritosa e molto carina. Protagonista femminile, nel ruolo di Konstanze, la canadese Jane Archibald che, colpita da tracheite, ha generosamente retto fino all’inizio del secondo atto, quando in suo soccorso e senza interruzioni, a lato del proscenio ha egregiamente preso in pugno la parte, e salvato lo spettacolo, il soprano Valeria Esposito, mentre la Archibald ha mantenuto sino alla fine la sola presenza attoriale, assai attraente peraltro. La parte recitante di Selim ha trovato un interprete di gran lusso in Peter Simonischek. Impresentabile, però, quando al ritorno da una battuta di pesca si toglie il top della muta, esibendo due tettone che la regia avrebbe fatto meglio a non scoprire…  Francesco Saponaro (24 aprile)


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