Oggetti orchestrali

Alla Scala un mese di grandi concerti sinfonici
Messiaen
Et expecto resurrectionem mortuorum
Ravel
Daphnis et Chloé suite 
n. 1 e 2
direttore Riccardo Chailly
orchestra Filarmonica della Scala
teatro alla Scala

 

MILANO – Alla Scala è tempo d’orchestra. Come di consueto, dopo Sant’Ambrogio, arrivano i grandi concerti. Una concentrazione che rende il Piermarini una piazza sinfonica di assoluto rilievo. Chailly, Barenboim, Muti, Chung in successione, con le ospitalità della Chicago Symphony Orchestra (in tournée anche al Lingotto di Torino e all’Opera di Roma) e del Concertgebouw di Amsterdam, sono una bella medaglia per un’istituzione “lirico-sinfonica”. Senza dimenticare il concerto diretto da Ingo Metzmacher dedicato a Claudio Abbado nel decennale della scomparsa, che ha fatto riascoltare l’impressionante Como una ola de fuerza y luz di Nono, a cento anni dalla nascita del compositore. L’inserimento di un brano del Novecento all’interno dei programmi dovrebbe ormai essere una necessità. Giusto quindi, da questo punto di vista, e bellissimo, il programma con cui si è inaugurata la stagione della Filarmonica della Scala. Ascoltare Messiaen e Ravel in successione fa capire molte cose del mondo sonoro in cui viviamo. Et expecto resurrectionem mortuorum – un requiem per fiati e percussioni scritto in ricordo delle vittime delle due guerre mondiali – è solo in apparenza distante dalle sofisticate danze raccolte nelle due Suite di Daphins et Chloé, o dai sortilegi della trascrizione per orchestra di Un barque sur l’ocean. La lettura asciutta, tesa, lì compatta, qui incantata, di Chailly ha rivelato la comune radice antisentimentale del Novecento musicale, che infatti nasce in Francia. Con una sorprendente prova d’orchestra. Molto “francese” è sembrata anche la lettura della Settima di Bruckner di Chung, proposta dopo il Mozart adamantino (lezioso?) di Emanuel Ax con l’orchestra olandese a ranghi cameristici. In Bruckner Chung stacca tempi nervosi, predilige fraseggi stretti, richiede pause brevi. E il Concertgebouw obbedisce alla perfezione. Nell’Adagio restituisce la prosa lirica con pudore, senza esaltazione. Riduce le apoteosi a misura di objects musicaux.
Andrea Estero

 

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299 Aprile 2024
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