Tanti affetti intorno al core

a cura di Jacopo Pellegrini
editore Lim
pagine LVII + 239
prezzo 24

 

Lo strazio degli amici alla notizia del prepensionamento di Piera Mantovani, “la Piera”, rigorosamente con l’articolo, è stato in parte alleviato dal lavoro su una raffinata silloge curata da Jacopo Pellegrini, raccolta di studi che di solito spetterebbe a illustri docenti e accademici. Invece la Piera è stata un’amministrativa, un’impiegata dell’Istituto di Musicologia dell’Università di Parma con cui ormai si identificava, o meglio erano i suoi tanti amici che la identificavano, tali erano l’efficienza, la competenza, la cultura e la sensibilità che dimostrava a ogni occasione.
Gli scritti sono di libero argomento musical-teatral-letterario, ma ognuno ha trovato la sua collocazione, come tanti amici che spontaneamente si siano ritrovati a tavola ognuno al posto giusto: miracoli conviviali che possono avvenire solo nel parmense. Così nel volume si possono trovare riferimenti allo Zabaione musicale di Adriano Banchieri, le quarantadue sestine in rima sul porco padano di Norberto Rosa, “talabalacchi”, “pifferi”, “sveglioni” e altri strumenti elencati da Francesco Redi come farebbe Borges con gli animali. Si parla dei clichés nelle pose degli attori, delle insidiose polisemie del gergo operistico, ma anche di Aragon, di Boal e dei riadattamenti verdiani per marionette.
La riflessione si fa poi teorica e teoretica per distinguere diletto e professione musicale, la fisica della musica, che è materica, fatta di sudore, lacrime e sangue, opposta alla sua metafisica. Per non parlare delle differenze tra Phantasie e Phantasieren in Schumann, con i rischi del comporre improvvisando, fino alla stroncatura del formalissimo Hanslick, che proprio di forma soccombe non riuscendo a trovare una definizione rigorosa. Questi sono solo alcuni dei trenta contributi raccolti: studi, progetti, digressioni e commosse testimonianze dei “tanti affetti” su cui la Piera potrà sempre contare.
Ed è con la commozione dei Puritani che Jacopo Pellegrini saluta l’amica, con un’analisi sul lessico di Bellini: “l’effetto”, “il dialogo passionato”, gli ingredienti di un dramma per musica che “deve far piangere, inorridire, morire cantando”. Spunti e riflessioni sulla drammaturgia di un’opera che meritano di essere estesi a tutta la produzione belliniana, che avrebbe bisogno di essere riscoperta un’altra volta – anche con un festival dedicato -, ma come teatro dell’interiorità, al di là del canto e delle dive – vedi Il pirata andato in scena lo scorso giugno alla Scala.
Mattia L. Palma

 

 

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298 Marzo 2024
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